Prima ha sparato, poi lo ha ammanettato. E non si è accorto di averlo colpito a morte. E’ la ricostruzione fornita ai magistrati da Alessandro Amigoni, l’agente della Polizia locale di Milano che lunedì scorso ha ucciso un 28enne cileno dopo un inseguimento a piedi. Poco dopo il colpo che ha ammazzato Marcelo Valentino Gomez Cortes, il vigile ha ripercorso l’accaduto davanti ai pm, che hanno fatto mettere a verbale le sue dichiarazioni. Amigoni è accusato di omicidio volontario.

”Poiché questi si agitava ancora, per evitare che facesse gesti pericolosi, io e il collega lo abbiamo ammanettato” si legge nel verbale dell’interrogatorio di Alessandro Amigoni, il quale ha aggiunto che, mentre stavano mettendo le manette ai polsi del giovane sudamericano, “non abbiamo notato (…) sanguinamento”. Se ne accorgerà a distanza di poco, anche perché “dopo il colpo non ho realizzato che uno dei due fosse stato colpito – ha ricordato Amigoni – perché hanno entrambi proseguito la corsa e la persona disarmata si è girata verso di me inciampando e cadendo al suolo”.

L’agente della Polizia locale ha raccontato poi di aver visto l’uomo cadere a terra e sbattere la testa al suolo. “Continuando a correre – ha proseguito – mi sono avvicinato e, appena arrivato presso di lui, questi mi ha tirato un calcio sullo stinco destro facendomi cadere”. Amigoni racconta di essersi fatto male e, dopo aver notato un collega vicino al ‘fuggitivo’, di aver rimesso la pistola nella fondina. “La persona respirava autonomamente e non ho visto sanguinamento. Poiché questi si agitava ancora, per evitare che facesse gesti pericolosi io ed il collega lo abbiamo ammanettato”. Il ragazzo, dopo aver detto qualcosa di incomprensibile, visto che non sembrava avere intenzione di raggiungere l’auto spontaneamente, è stato accompagnato sotto braccio nei pressi dell’auto.

“Non abbiamo notato fino a quel momento sanguinamento” ha detto Amigoni, che dopo, arrivati nei pressi dell’auto di ordinanza,  si è “accorto che sanguinava dalla testa in conseguenza probabilmente della caduta”. L’agente ha raccontato di aver notato un respiro affannoso, quindi di aver tolto all’uomo le manette per agevolare la sua respirazione e di aver detto di chiamare un’ambulanza per i problemi respiratori. “Ancora non avevo notato alcun sanguinamento diverso da quello lieve al capo”: Amigoni, quindi, credeva che l’affanno fosse dovuto alla corsa. “Visto che l’affanno della persona aumentava – ha detto l’agente in un altro passaggio – gli ho chiesto se avesse bisogno di qualcosa e dopo avergli aperto la giacca e la cerniera della felpa mi sono reso conto guardandomi la mano di averla sporca di sangue”. Quindi “aprendo ulteriormente la felpa ho notato una macchia di sangue sulla maglietta (..) pur non avendo notato fori di entrata sulla stessa maglietta, ho desunto in quel momento di averlo attinto con il mio sparo”. Poi è arrivata l’ambulanza. “Sono sicuro di avere esploso solo un colpo – ha detto Amigoni – ho sparato in corsa ed ho notato la caduta della persona di cui sto parlando solo dopo 4-5 metri di corsa. Egli è caduto non in conseguenza del colpo ma soltanto per avere perso l’equilibrio mentre correva essendosi voltato a guardarci”.

Oltre a quella di Amigoni, nel verbale fatto redigere dal pm Roberto Pellicano c’è anche la ricostruzione di Massimo De Zardo, uno dei colleghi che lunedì scorso si trovava con l’agente accusato di omicidio volontario e che, stando alla testimonianza di De Zardo, era a “circa 7 metri” dall’immigrato “al momento in cui ho sentito la detonazione dello sparo”. Una “breve distanza” in ragione della quale Amigoni, “che correva a forte velocità verso questo soggetto, non è riuscito a contenere la corsa ed è a sua volta inciampato” sul corpo del cileno. Lo stesso agente ha chiarito davanti al pm che la fase dell’inseguimento è durata “pochissimo”. Appena uscito dalla macchina “ho sentito uno sparo”. Si è “avvicinato al soggetto caduto e del tutto inconsapevole circa il fatto che fosse stato colpito da un proiettile ho utilizzato le mie manette su uno dei polsi. L’altro polso – ha chiarito – mi è stato avvicinato dal collega Amigoni in modo da completare l’ammanettamento”. Da subito, “è risultato evidente che questi non aveva delle reazioni naturali. Pareva un peso morto”. Poco dopo Amigoni “si accorse e mi fece comprendere, sebbene non sia in grado di ricordare le parole esatte da lui adoperate, che lo aveva colpito con lo sparo”.

De Zardo ha voluto però escludere “a priori che egli abbia mirato per uccidere”. Tutti e tre gli agenti che erano con Amigoni hanno escluso, anche se con modalità differenti, che ci fosse un’arma puntata verso di loro da parte dei fuggitivi. Il vigile Piero Paolo Recupero, ad esempio, a sua volta ha detto al pm di aver sentito Amigoni gridare “fermo polizia” e “immediatamente dopo ho udito lo sparo”. Un vigile che non faceva parte della pattuglia, ma che era lì in zona per un altro intervento, ha messo a verbale davanti alla Squadra mobile di aver visto in particolare due degli agenti che erano all’inseguimento dei fuggitivi e “uno dei due diceva ‘fermati o sparo'”. A un altro degli agenti, Nicola Colucci, sentito dalla Mobile lunedì, è stata anche ‘contestata’, in un passaggio della testimonianza, l’assenza di un proiettile nella sua arma di ordinanza. “La cartuccia che manca – ha risposto – è probabile che sia in qualche tasca dei vari giubbotti che uso per lavorare. Non tengo mai un colpo in canna”. L’agente Recupero, invece, davanti agli investigatori ha chiarito che Amigoni “mi ha riferito di aver sparato ed aver colpito l’altro individuo che inizialmente stavamo inseguendo”, precisando anche che “la persona che poi è riuscita a dileguarsi non era in possesso di un’arma”.

Quest’ultima versione, inoltre, è stata confermata anche dall’amico di Marcelo Valentino Gomez Cortes. “Non abbiamo mai avuto armi, siamo scappati perché clandestini e avevamo paura di un controllo” ha raccontato, ai microfoni del Tg3 Lombardia, Alvaro Thomas Huerta Rios, 25 anni, cileno. Questi, che lunedì pomeriggio stava fuggendo con il cileno di 28 anni in zona Parco Lambro, si è presentato oggi in Procura dal pm di Milano Roberto Pellicano ed è stato poi portato in Questura per essere sentito. “Sono distrutto – ha spiegato nell’intervista – più che arrabbiato, perché il mio amico era una brava persona, un bravo padre coi suoi figli. Loro un giorno, da grandi, lo sapranno”. E ha aggiunto: “Sono andato in Procura perché non ho niente da temere. Quel giorno siamo scappati perché siamo clandestini e avevamo paura di essere fermati. Mai avuto armi – ha concluso – tutte cose false”.

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