Così come la democrazia è comunemente ritenuta la migliore forma di governo che conosciamo, l’economia di mercato è il modello economico più efficiente che conosciamo per ottimizzare il rapporto tra domanda e offerta di merci e servizi, misurato com’è dal profitto. Fino a ventidue anni fa conoscevamo anche un altro modello, quello dell’economia pianificata del c.d. socialismo reale, ma questo modello è scomparso dalla faccia della terra senza neanche tanti rimpianti.

L’economia di mercato, in realtà, non dispone di uno solo, bensì di almeno tre modelli economici: quello liberista di stampo anglosassone, quello sociale di matrice tedesca e quello civile di origine italiana, anche se tendiamo a dimenticarcene per provinciale esterofilia e soprattutto per gli interessi legati all’impresa di tipo capitalistico.

Ho partecipato ieri sera, nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, a un’interessante e affollato incontro con il prof. Stefano Zamagni dell’Università di Bologna sul tema: “La dignità del lavoro, valore non negoziabile”.

Per Zamagni l’impresa capitalistica e quella sociale o civile non sono alternative, ma complementari. Il sistema capitalistico, specie nell’attuale fase di jobless growth (crescita senza creazione di posti di lavoro) dovuto all’uso delle tecnologie, digitali e non, non vive come prioritario il problema della piena occupazione, anzi presuppone un livello fisiologico e costante di disoccupazione mentre l’impresa civile intende il lavoro come un fine e non solo come un mezzo o un fattore della produzione.

La soluzione che Zamagni propone per affrontare efficacemente la grave crisi occupazionale che stiamo attraversando, forte anche dell’esperienza maturata alla presidenza dell’Agenzia per il terzo settore, è a costo zero attraverso l’estensione alle imprese c.d. sociali o civili dei benefici già previsti per le Onlus. Questa misura si aggiungerebbe a quelle del governo Monti, in tema di sviluppo, attraverso le liberalizzazioni, la semplificazione degli adempimenti e la costituzione di società di capitali con soci under 35.

Cos’è un’impresa civile? L’Italia si è dotata di una legislazione avanzata attraverso il D.Lgs. 155 del 2006 sulle imprese sociali stabilendo all’art. 2 quali siano le attività a rilevanza sociale. Questo settore che opera nell’ottica della produzione, non della redistribuzione del reddito, si svilupperebbe senza oneri per lo Stato se solo, come già detto, fossero riconosciute le stesse prerogative delle cooperative sociali e delle Onlus quando agiscono come imprese.

Si tratta di una rivoluzione culturale che presuppone altri due capisaldi: la rivalutazione della dignità del lavoro manuale rispetto a quello intellettuale (“se non studi ti mando a lavorare” è la tradizionale minaccia delle famiglie italiane che sottintende che lo studio non sia già un lavoro mentre il lavoro manuale sia invece una condanna, con la conseguenza che i nostri disoccupati intellettuali sono i meno propensi – in Europa – ad accettare una, sia pur transitoria, occupazione manuale) e l’armonizzazione tra lavoro e famiglia che in Italia ha portato alla minore fertilità femminile pur con la più bassa quota di partecipazione femminile al mondo del lavoro: un’assenza che ha privato questo mondo della naturale maggiore attenzione della donna al senso dell’equità e alla ricaduta sociale del proprio impegno.

In conclusione Zamagni ha affermato che i modelli improntati alla razionalità delle leggi di mercato e all’efficienza produttiva devono bilanciarsi con quelli ispirati alla “solidarietà fraterna” in modo da consentire, attraverso il lavoro vissuto come fine e non come mezzo, lo sviluppo integrato della persona attraverso il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali, socio-relazionali ed esistenziali. L’incentivo alla promozione di imprese sociali potrebbe portare alla nascita di 50.000 nuove imprese con una ricaduta occupazionale di 500.000 nuovi posti di lavoro che sorreggerebbero il Pil.

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