La cautela è d’obbligo, tanto alla luce dei precedenti quanto di fronte un mercato sempre a rischio speculazione. Ma il fenomeno è ormai evidente e per questo difficile da ignorare. Lo spread è ormai in discesa, un po’ come a inizio dicembre quando un tracollo improvviso dei rendimenti fece parlare forse con troppa fretta di atteso “effetto Monti”. Solo che questa volta sembra tutta un’altra faccenda. Perché a pesare sul drastico calo del divario Btp/Bund sono circostanze contingenti che vanno al di là dei confini nazionali. E che proprio per questa ragione fanno sperare in un progressivo processo di normalizzazione.

Questa mattina, per qualche minuto, il differenziale di rendimento tra i titoli decennali italiani e gli omologhi tedeschi è sceso sotto quota 400 sfondando così al ribasso una barriera che resisteva dal 7 dicembre scorso. Il valore è successivamente risalito mantenendosi però non troppo distante dalla soglia psicologica dei 4 punti percentuali, un segnale evidente di un’inversione di tendenza in atto oramai da una decina di giorni. Dopo un inizio d’anno tremendo, culminato con il record negativo del 9 gennaio (531 punti, contro i 552 della chiusura del 9 novembre, giorno in cui si erano toccati anche i 574 punti in fase di contrattazione), lo spread Btp/Bund torna nuovamente verso livelli relativamente accettabili in un contesto di borsa ultimamente più confortante e in un quadro internazionale finalmente chiaro. Insomma, come si diceva, Mario Monti avrà pure i suoi meriti. Ma le circostanze nuove influiscono eccome.

“C’è sicuramente una valida interpretazione ‘politica’ che evidenzia la fiducia suscitata dagli sforzi fatti dall’Italia per ridurre il suo deficit e rilanciare, secondo i programmi del Governo, la propria competitività – spiega un analista di Borsa Italiana – ma ad essere veramente determinanti sono altri fattori: dalle scelte della Germania a quelle della Bce”. Berlino, si dà ormai per certo, sarebbe pronta ad allargare finalmente i cordoni della borsa dando il via all’aumento del volume dei fondi di salvataggio del Continente (leggi il blog di Mauro Meggiolaro) mettendo tutto nero su bianco il prossimo 30 gennaio quando sarà firmato il nuovo accordo fiscale europeo. In cambio di un nuovo regime di rigore contabile, insomma, la Germania finirà per approvare un maxi accantonamento da 750 miliardi di euro. Ma come si diceva c’è dell’altro. E qui veniamo alla questione tecnica.

“A far crollare i rendimenti dei titoli, riducendo quindi lo spread, è stata in ultima analisi la liquidità erogata dalla Bce agli istituti privati – spiega ancora l’analista – . Le banche europee quindi sono tornate a fare acquisti di titoli: prima concentrandosi sui rendimenti a breve, poi finalmente su quelli a lungo termine”. Lo schema funziona e le cifre lo confermano. Alla fine del 2011 i rendimenti sui titoli a breve risultavano ancora estremamente alti, soprattutto in relazione a quelli delle obbligazioni a dieci anni. In gergo tecnico si parla di “curva piatta”, un fenomeno piuttosto preoccupante. La svolta si è poi avuta con le ultime aste che hanno segnato un crollo dei rendimenti stessi evidenziando un rialzo dei prezzi (che significa interessi più bassi) già in atto nel mercato secondario. Tra il 20 dicembre e il 23 gennaio, quindi, a sperimentare il fenomeno sono stati soprattutto i titoli a 6 mesi e 1 anno che hanno ceduto quasi due punti percentuali di rendimento. “Ora – conclude l’analista – le banche si concentrano sui decennali e i risultati si vedono”.

In sostanza, dunque, è accaduto ciò che la Bce si augurava da tempo. Dopo la massiccia iniezione di liquidità a tassi di favore (1%) le banche hanno iniziato a comprare titoli di Stato giudicati sottovalutati facendone alzare il prezzo e riducendone, quindi, il rendimento. Un’operazione particolarmente conveniente che si è finalmente messa in moto. Gli istituti privati, insomma, hanno deciso di concedere nuovamente un po’ di fiducia agli Stati acquistandone i debiti e restituendo finalmente un po’ di ossigeno ai conti. La speranza, ora, è che lo stesso fenomeno investa anche il comparto delle imprese, per le quali le difficoltà di accesso al credito restano evidenti. Ma per questo, inevitabilmente, ci vorrà ancora molto tempo.

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