Il presidente siriano Bashar Assad ha scelto l’Università di Damasco come palcoscenico per il suo terzo discorso pubblico dall’inizio delle proteste anti-regime nel a marzo del 2011. Il capo del governo siriano ha parlato per quasi due ore, in diretta televisiva, per contestare la versione corrente sulla situazione nel paese e attaccare anche la Lega Araba, contestando il diritto degli altri paesi membri a interferire con la crisi siriana: “Il primo parlamento in Siria è stato nel 1917 – ha detto Assad – Dov’erano loro? La situazione sembra quella di un medico che, con la sigaretta in bocca, dice a un paziente che deve smettere di fumare”. Il riferimento è alle monarchie assolute del Golfo, che hanno sostenuto l’espulsione della Siria dalla Lega Araba e l’invio di osservatori per valutare la situazione. Dopo gli attacchi, Assad ha però precisato che il suo governo non chiude del tutto la porta a una mediazione della Lega Araba, a condizione che sia “rispettata la sovranità della Siria”.

Una sovranità che, secondo il presidente, si specchia nella volontà del popolo siriano: “Lascerò il potere quando questa sarà la volontà dei cittadini”, ha detto Assad, secondo il quale, però, le proteste che da 10 mesi scuotono il Paese e la conseguente repressione costata secondo l’Onu almeno 5 mila morti, non sono espressione della volontà dei cittadini siriani. “La cospirazione esterna è evidente a tutti – ha aggiunto – E non c’è spazio per il terrorismo, che sarà affrontato con il pugno di ferro. La battaglia contro il terrorismo è una battaglia di tutti, una battaglia nazionale, non solo del governo”. Non si tratta, secondo Assad, solo delle bombe che hanno colpito Damasco nelle ultime settimane, ma dietro tutta la protesta ci sono forze straniere, che però non vengono citate esplicitamente. Le informazioni che arrivano sulle proteste sono falsate e per questo “è stato necessario” limitare la libertà di azione dei media internazionali, che, ha ricordato Assad, all’inizio delle manifestazioni “si muovevano liberamente nel Paese”.

Il presidente siriano ha anche difeso l’operato delle forze dell’ordine e ha affermato che “nessuno ha mai dato l’ordine di sparare sui cittadini. Per legge, nessuno può sparare sui cittadini, se non per autodifesa”.

Fiducioso nella “vittoria”, il presidente ha comunque proposto anche una serie di scadenze politiche per cercare di fare uscire il Paese da una impasse che è già “costata molto”, nonostante le “forze esterne” non siano riuscite a “mettere un piede nella rivoluzione che avevano sperato”. Il primo passaggio di questa road map dovrebbe essere a marzo, quando “forse nella prima settimana”, quando sarà proposto un referendum sulla nuova Costituzione che dovrebbe essere quasi completa. “Dopo di ciò ci saranno le elezioni, forse nella prima metà di maggio”. Saranno le prime elezioni multipartitiche della storia della Siria contemporanea, dopo che, nel pacchetto di riforme approvato dal governo per cercare di calmare le proteste, è stato abolito il sistema a partito unico, fondato sul Baa’th. La formazione dei partiti, però, a meno di novità nella nuova costituzione, non sarà del tutto libera perché rimangono proibiti i partiti di ispirazione religiosa.

Il discorso di Assad, che in realtà al di là delle date della transizione pilotata, non contiene elementi di novità sostanziale, arriva proprio mentre l’Onu si prepara a discutere la situazione in Siria, in una sessione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza prevista per oggi pomeriggio (ora di New York). Ieri era stato il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan che aveva avvisato che la Siria “si sta dirigendo verso una situazione di guerra settaria, religiosa e civile” che deve essere evitata. La Turchia, che ha 900 chilometri di confine terrestre con la Siria, ha chiesto l’aiuto dell’Onu per studiare la creazione di una zona cuscinetto dove eventualmente accogliere i profughi, se la situazione in Siria dovesse aggravarsi ancora. Il governo Erdogan, dopo aver più volte invitato Assad ad avviare radicali riforme in senso democratico, ha deciso di imporre alcune sanzioni alla Siria, ma mantiene ancora canali di dialogo con Damasco. Canali che potrebbero rivelarsi estremamente utili nelle prossime settimane, quando, con l’approssimarsi del primo anniversario dell’inizio delle proteste, potrebbe esserci una nuova pericolosissima escalation.

di Joseph Zarlingo