Ogni volta che nell’ospedale della città viene praticato un aborto, le campane della parrocchia suonano a morto. Succede a San Giovanni in Fiore (Cosenza) e l’autore del gesto è Don Emilio Salatino, parroco della chiesa di Santa Lucia. Non è un mistero e accade tutto alla luce del sole, anzi il parroco rivendica con orgoglio la paternità del gesto. Di più non vuole aggiungere, tutto, dice “è già riportato in un comunicato ufficiale redatto dall’Arcidiocesi di Cosenza-Bisignano”.

Il testo in questione si intitola “La vita va custodita sin dal suo sbocciare nel grembo materno” e, tra le righe, la diocesi si dice sorpresa per la “strana meraviglia rispetto alla libertà di proclamare l’inviolabilità della vita che è sempre dono e dono di Dio”, ma soprattutto del mancato clamore “quando la comunità del popoloso capoluogo silano è stata privata del punto nascita”. Già, perché il 17 gennaio di quest’anno l’Azienda Sanitaria provinciale di Cosenza (ASP) ha emesso un provvedimento di chiusura del reparto di Ostetricia dell’ospedale della città.

Le ragioni del provvedimento di chiusura le spiega direttamente il sindaco di San Giovanni in Fiore, Antonio Barile, interpellato telefonicamente: “Il reparto di Ostetricia è stato chiuso in ottemperanza ad un provvedimento nazionale che ha disposto la chiusura di tutti i Punti Nascita nazionali al di sotto dei 500 parti l’anno e la media dell’ospedale di San Giovanni in Fiore era di 100 nuove nascite all’anno. Ma la chiusura – continua Barile – è stata anticipata al 17 gennaio dal provvedimento dell’ASP di Cosenza, che ha valutato lo stato di manutenzione del reparto al di sotto degli standard minimi di sicurezza”. Insomma, conclude il sindaco, “la sala parto del reparto di Ostetricia non era a norma ed è stata chiusa anticipatamente, lasciando aperto soltanto il reparto di Ginecologia”.

E qui sta il nodo della questione: Don Emilio Salatino non ha mai accettato la soppressione del reparto di Ostetricia. E pazienza se la chiusura del punto nascite è stata causata da controlli che hanno accertato una serie di carenze di natura igienico-strutturale. La diocesi di Cosenza-Bisignano è compatta nel difendere le ragioni del parroco e questa tesi trova conferma nelle parole di una suora dell’Istituto delle figlie di Santa Maria della stessa città.

La donna, che preferisce restare anonima, ci spiega di essere “d’accordo con Salatino sulla necessità di suonare le campane ad ogni nuovo aborto” e di “sentire la necessità di promuovere anche altre manifestazioni a favore delle vita e non soltanto contro la scelta amministrativa di chiudere il reparto”. “A San Giovanni non solo è stato chiuso un punto nascite – continua – ma è stato aperto un punto morte, dal momento in cui tutti gli aborti della provincia sono stati concentrati nell’ospedale della città”. Ma il sindaco Barile non conferma l’accentramento di tutte le pratiche abortive della provincia nel solo ospedale di San Giovanni.

“Per fortuna – conclude la donna – tutti gli infermieri dell’ospedale si sono proclamati obiettori di coscienza e se non fosse stato chiamato un vecchietto che viene da fuori, il provvedimento della provincia non sarebbe mai stato attuato”. Così per ogni bambino mai nato, Salatino dispone che le campane della Chiesa di Santa Lucia (vicina all’ospedale) suonino a lutto.

Disposizione contro cui il sindaco afferma di “non poter prendere posizione, garantendo in ogni caso il rispetto della legge 194 che regola le pratiche abortive e la necessaria distanza dalle scelte legittime che compie la Chiesa”.

Resta poi inevaso l’interrogativo su quali siano le modalità attraverso cui il prete viene a conoscenza degli aborti e su chi siano i suoi informatori. Sul punto il sindaco confessa di non essere riuscito a darsi una risposta, mentre dall’Istituto delle figlie di Santa Maria dichiarano “di non sapere” e comunque “di non avere alcuna intenzione di indicare le fonti di Don Emilio, qualora ne venissero a conoscenza”. E così le campane continueranno a suonare.

Ciò che invece è certo è il clamore che la vicenda ha suscitato, di fronte al quale peraltro il prete silano non sembra essersi trovato particolarmente impreparato.

Già nel 2005, in occasione delle elezioni per la carica di primo cittadino, Don Emilio si era conquistato i titoli dei giornali per aver definito il candidato sindaco Gianni Vattimo “un diavolo pericoloso per i giovani”, in virtù delle opinioni del filosofo sulla dottrina. Per la Chiesa di San Giovanni in Fiore Vattimo rappresentava “il diavolo che viene da Torino per promuovere l’ateismo, portare i giovani alla perdizione ed attaccare Dio”.

di Nicola Di Turi

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