Antonio Di Pietro ha invocato il ritorno a una legge antica, la legge Reale, come soluzione ai problemi di ordine pubblico. Attribuiamo questa idea peregrina all’emozione del momento e a una certa inclinazione poliziesca dell’ex-magistrato. La legge Reale, varata nel 1975 su iniziativa dell’allora ministro di Grazia e Giustizia, il repubblicano Oronzo Reale, prevedeva il fermo preventivo sui “sospetti” della durata di 96 ore e dava alla polizia la possibilità – in particolari situazioni (chissà cosa si intendeva per “particolari”) di ordine pubblico – di usare le armi. Si parlò di “pena di morte” non dichiarata.

La legge non fermò gli scontri di piazza, non disinnescò il terrorismo, provocò solo la morte inutile di 250 persone, una quarantina non avevano nemmeno compiuto vent’anni. Ricordiamo qui due casi emblematici. Nel 1978, in Piazza Navona, durante una manifestazione dei radicali, venne uccisa Giorgiana Masi, 18 anni. Le indagini andarono avanti fra mille depistaggi e nessuno pagò per quel colpo di pistola alla schiena. Era stata “una pallottola vagante” e, si sa, quando le pallottole vagano, pazienza da quale canna sono partite. Nel 1979 venne ucciso a soli 37 anni Luigi Di Sarro, medico e artista (a febbraio, l’ultimo omaggio postumo al Beaubourg). La scorta di Andreotti, in borghese, lo fermò in auto sul lungotevere, a poche centinaia di metri da casa sua. Era già buio, Di Sarro pensò a un sequestro di persona (allora erano un’industria), tirò dritto, gli agenti spararono ad altezza d’uomo. Un assassinio che venne prontamente “giustificato dal clima di quei giorni”.

Una nuova legge Reale? Una legge Maroni? Non bastano Uva, Cucchi, Aldovrandi e gli altri? Vogliamo un’altra Masi? Un altro Di Sarro? Vogliamo questa legge in mano al governo Berlusconi?

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