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Tentano una fuga di massa dal Cie di Modena gestito dal fratello di Giovanardi

Per fermare l'evasione di massa oltre a carabinieri e polizia sono intervenuti anche i militari dell'esercito. Un centro all'avanguardia, dicono i responsabili, visto che allo Stato costa il triplo degli altri
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Un incendio fatto scoppiare nella notte, una fuga di massa impedita dall’intervento massiccio di soldati, forze dell’ordine e pompieri. Non siamo a Lampedusa, ma nel Cie di Modena, costruito nel 2002 di fianco al carcere nella frazione di Sant’Anna, alla prima periferia della città.

A tentare l’evasione sono stati i 57 migranti ospiti della struttura, che ha una capienza massima di 60 persone. Qualcuno ha appiccato il fuoco a materassi e biancheria in quattro dei sei moduli abitativi che si affacciano sulle recinzioni metalliche del cortile, gli altri hanno cercato di salire sui tetti profittando del fumo e della confusione. La rivolta e il rogo sono stati spenti solo con l’arrivo di pattuglie di  polizia, carabinieri e finanza dalla provincia, oltre a due squadre dei vigili del fuoco con l’autobotte e alcuni militari dell’esercito.

L’episodio riporta al centro il tema dell’inadeguatezza dei Cie e dell’attuale legislazione in materia di immigrazione. I centri di Modena e di Bologna sono gestiti da esercito e forze di polizia per quanto riguarda la sicurezza, mentre i servizi sono affidati alla ‘Confraternita della Misericordia’ di Daniele Giovanardi, fratello del sottosegretario alla presidenza del consiglio.

Lo Stato paga 75 euro per ogni ospite ‘modenese’, il triplo della diaria di Crotone, ma a chi parla di business Giovanardi snocciola qualità e spese di servizio: operatori sociali, medici, infermieri, psicologi e mediatori culturali, gli appalti esterni per i pasti e le pulizie, i 2,50 euro giornalieri agli ospiti per sigarette e tessere telefoniche. Rispetto alle altre strutture anche i tempi di permanenza sono buoni, trenta giorni di media, grazie alla rapidità delle identificazioni.

Ma i problemi restano per ragioni di fondo: ”Lo spazio angusto in cui sono costretti a vivere gli ospiti non aiuta le relazioni sociali, aumenta il disagio e la diffidenza nei confronti del Paese di accoglienza” ha spiegato al termine della sua prima visita al Cie di Modena Cècile Kyenge, responsabile regionale del Pd per l’immigrazione.

I migranti sono in prevalenza persone cui non è stato rinnovato il permesso di soggiorno per la perdita del lavoro, alcuni sono ricercati nei loro paesi per reati comuni ma molti sono disperati in fuga da estrema povertà e regimi totalitari. Le rivolte sono cicliche: incendi di materassi, tentati suicidi, atti di autolesionismo. C’è chi ingoia bulloni per provare a dileguarsi durante il ricovero in ospedale, chi arrotola funi per calarsi dal tetto e arrampicarsi sui quattro metri delle recinzioni. Ma a differenza di un carcere le ‘guardie’ sono solo undici per turno: otto militari e tre agenti tra polizia, carabinieri e finanza a rotazione. Proprio nei giorni scorsi il segretario del Siulp di Modena, Bruno Fontana, è tornato a denunciare l’inerzia del governo sulle carenze di organico che si traduce in turni massacranti per i poliziotti. Lunedì notte hanno fronteggiato i migranti esasperati e sfidato le fiamme.

Il bilancio ufficiale parla di nessun ferito, evasione fallita, danni non ingenti e un arresto per danneggiamento aggravato, quello di un giovane libico arrivato a settembre da Lampedusa. Le telecamere lo hanno ripreso mentre bruciava le lenzuola nella notte del Cie: rischia una condanna da 6 mesi a 3 anni di carcere.

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