Lo scrive un tribunale, la terza sezione civile di Palermo: i ministeri della difesa e dei trasporti si macchiarono di “omissioni e negligenze” e, dopo la sciagura, operarono in modo tale per cui ai familiari delle vittime fosse negato il diritto alla verità. Per questo i dicasteri dovranno rifondere un risarcimento record – 100 milioni di euro, più interessi e oneri accessori – ai parenti delle persone che morirono nella strage di Ustica, avvenuta il 27 giugno 1980. Risarcimento che costituisce un caso più unico che raro nella giurisprudenza italiana.

I ministeri non prevennero il disastro e poi impedirono l’accertamento dei fatti. La sentenza storica è stata pronunciata questa mattina dal giudice siciliano Paola Protopisani e, dopo la sentenza-ordinanza di Rosario Priore del 31 agosto 1999, costituisce uno dei riconoscimenti più rilevanti alle istanze di chi, nel corso dei 31 anni trascorsi dal disastro, ha sempre sostenuto che ci furono apparati dello Stato che impedirono l’accertamento dei fatti dopo non aver fatto nulla per prevenirlo.

Per arrivare al pronunciamento di oggi, nel 2007 il team legale – composto dagli avvocati Daniele Osnato, Alfredo Galasso e Vanessa Fallica che rappresentano 81 parenti delle vittime per una cinquantina di famiglie – aveva riversato al tribunale civile di Palermo un migliaio di documenti, tra cui i risultati del lavoro del giudice Priore e materiale proveniente dai processi di primo e secondo grado celebrati davanti alla corte d’Assise di Roma contro l’aeronautica militare, accusata di aver depistato le indagini (i dibattimenti iniziarono rispettivamente il 28 settembre 2000 e il 3 novembre 2005).

I parenti, per 31 anni, sono stati sottoposti alla “tortura della goccia cinese”. Soprattutto sono stati due i punti su cui l’istanza in sede civile dei familiari ha battuto. Da un lato, la sicurezza del volo Itavia 870 – decollato da Bologna con un paio d’ore di ritardo e che avrebbe dovuto atterrare all’aeroporto di Punta Raisi – non venne garantita. E non venne garantita in particolare in una tratta, che va sotto il nome di “Punto Condor”. I legali dei parenti facevano infatti rilevare che quella era una zona ad alto rischio, dove si concentravano attività militari ufficiali e ufficiose.

Inoltre veniva rimarcato un alto elemento, successivo alla strage. I familiari delle vittime, infatti, negli anni successivi al disastro vennero sottoposti a quella che è stata chiamata nei documenti giudiziari la “tortura della goccia cinese”, uno stillicidio – specificano gli avvocati – di alterazioni di documenti, omissioni, segreti di Stato tali o presunti, menzogne. In altre parole “depistaggi”, quelli che non si riuscì ad accertare in sede penale. Proprio questa “tortura” è alla base del pezzo di risarcimento che va ad aggiungersi ai 100 milioni e che viene chiamato “oneri accessori”. Si tratta in pratica del riconoscimento di un danno continuato e non estinguibile che va oltre il lutto provocato dalla perdita di un parente della strage aerea.

Bonfietti: “Sentenza di elevato spessore civile”. Questo è sicuramente il più rilevante tra i risarcimenti accordati ai congiunti della sciagura del 27 giugno 1980. Ma non è il primo. La sentenza di oggi si va ad aggiungere infatti a un precedente pronunciamento, datato 30 maggio 2007. Allora la seconda sezione civile del tribunale di Palermo si era espressa sempre a carico degli stessi due ministeri riconoscendo 980 mila a una quindicina di familiari delle vittime. Tre anni più tardi, nel giugno 2010, la sentenza è stata confermata e il risarcimento era salito a 1 milione e 390 mila euro.

Daria Bonfietti, presidente dei familiari delle vittime, ha parlato di una “sentenza di elevato spessore civile. È molto positiva perché dissipa una parte abbondante dei dubbi che ancora ci sono sulla vicenda e sulle responsabilità di quanto nascosto in tutti questi anni. Con la notizia di oggi si dà inoltre ragione alle conclusioni a cui giunse il giudice Priore quando parlò di scenario di guerra”.

“È una sentenza straordinaria”, aggiunge Daniele Osnato, uno degli avvocati che ha rappresentato i familiari delle vittime. “Lo è per una serie di ragioni. In primo luogo l’importo difficilmente equiparabile rispetto a pronunciamenti precedenti. Ma soprattutto lo è perché attesta che i dipendenti dei ministeri della difesa e dei trasporti non solo non hanno protetto un volo civile, ma hanno agito in modo da rendersi colpevoli della negazione della verità. Hanno taciuto su quanto sapevano e hanno fatto in modo che in 31 anni non fosse possibile arrivare a un accertamento definitivo dei fatti. Ora è scritto nero su bianco”.

In merito invece alla smentita tesi della bomba portata avanti da Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri, l’avvocato liquida la questione affermando che “noi vogliamo solo la verità, non ci interessano le beghe politiche. L’atteggiamento di Giovanardi è quello di parlare sulla base di informazioni sbagliate e impastate alla meglio”.

E ora si apre la questione degli archivi di Tripoli. La guerra in Libia e il rovesciamento della dittatura di Muammar Gheddafi potrebbero avere una coda che riguarda anche la strage di Ustica. Nei giorni scorsi, Le Monde aveva raccolto le dichiarazioni di Peter Bouckaert, direttore del settore emergenze di Human Rights Watch, che aveva iniziato a consultare quanto contenuto negli archivi dell’intelligence libica. Il quotidiano francese aveva dato particolare rilevanza a una serie di “extraordinary rendition” effettuate dagli americani della Cia e dagli inglesi del Mi6. Ma aveva accennato anche a documenti che riguarderebbero quanto avvenne nei cieli italiani il 27 giugno 1980.

Al momento, a causa del caos che ancora regna nel Paese d’oltre Mediterraneo, capire esattamente quali notizie contengano quei documenti è difficile, per quanto ci sia chi pensa che possano parlare dell’aereo francese nascosto sulla scia del Dc9 dell’Itavia, presunto responsabile dell’abbattimento del volo civile italiano. E si spera che in Libia la normalizzazione della situazione possa presto concedere quella calma necessaria a consultarli per vedere se ci vi siano elementi utili ad arrivare a un ulteriore accertamento dei fatti.

Intanto, però, viene lanciato un appello da Daniele Osnati. “Il governo italiano”, dice, “deve essere in prima linea nel richiedere e farsi consegnare quei documenti. Non possiamo permettere che vengano presi dai francesi e dagli americani perché il rischio è quello che siano sottratti o alterati contribuendo ancora una volta ad modificare la verità dei fatti”.

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