Esiste a Bologna una “2 Torri connection” tale da diventare anche il nome di un’operazione contro la ‘ndrangheta che ha portato all’arresto di 14 persone tra Italia, Austria e Spagna accusate di associazione a delinquere finalizzata al traffico e allo spaccio di sostanze stupefacenti. Un traffico che avveniva a livello internazionale tra Europa e America Latina e tra i capi di imputazione c’è anche il tentativo di importazione di 1.500 chili di cocaina.

I mandati di cattura, richiesti dal pubblico ministero Enrico Cieri della Dda di Bologna e dal procuratore capo Roberto Alfonso e firmati dal gip Sandrucci, sono l’epilogo di un’indagine della squadra mobile del capoluogo emiliano con l’ausilio dello Sco e della direzione centrale del servizio antidroga. Un anno di osservazioni, pedinamenti e intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno consentito di fermare uomini affiliati al clan calabrese dei Mancuso, alcuni dei quali già finiti in un’altra operazione della mobile di Bologna, parallela a questa, la “Golden jail”, messa a segno all’inizio di aprile con il sequestro di beni immobili per il valore di alcuni milioni di euro.

Il punto di collegamento tra quest’ultima retata e la “2 Torri connection” passa infatti per Francesco Ventrici, 39 anni, nato a San Calogero (Vibo Valentia) e residente ad Ozzano nell’Emilia, e per Vincenzo Barbieri, ucciso lo scorso 12 marzo in Calabria a colpi di 7.65 e fucile a canne mozze dopo essere finito a inizio anno, sempre con Ventrici anche nell’inchiesta “Decollo Ter” della Dda di Catanzaro.

Dei 14 arresti eseguiti oggi, 9 sono avvenuti in Italia, tra la provincia di Bologna, il vibonese e il teramano. A essere finire in manette sono stati, oltre a Ventrici, anche Vicente Mari, 44 anni (altro nome emerso nell’indagine “Golden jail”), Angelo Mercuri, 43, Antonio Grillo, 33, Italo Iannello, 20, Marco Di Maurizio, 30, Claudio Zippilli, 47, Giuseppe Petullà e Ferdinando Zappia, 32. A loro, tutti di origine calabrese e per buona parte concentrati da il capoluogo emiliano e il suo hinterland, è contestato di aver, seppur con ruoli diversi, organizzato e gestito l’arrivo della droga e il suo smistamento dalla Slovenia su varie piazze italiane.

Poi c’è il gruppo di Alicante. Ne facevano parte Nicolò Cataldo, nato a Terlizzi (Bari) 61 anni fa, sua moglie, Paola Boselli, 39, di Cento (Ferrara), e Giuseppe Corsini, 61, di San Giovanni in Persiceto (Bologna). Secondo la ricostruzione degli investigatori, loro avrebbero fatto da punto di collegamento e di mediazione tra i clan calabresi e i narcotrafficanti colombiani, per i quali è stato arrestato Antonio Pastor Chavarro, 48 anni. L’ultimo finito in carcere è stato individuato a Graz, in Austria, e si tratta di un uomo di nazionalità tedesca, Micheal Kramer, 46 anni, poliglotta con un passato come pilota d’aereo che proprio questa professione avrebbe dovuto svolgere per il clan. A lui infatti sarebbe stato demandato il compito di condurre con un velivolo privato la droga da Quito (Equador) a Lubiana (Slovenia), dove poi sarebbe stata presa in carico dai referenti italiani della ‘ndrangheta.

Un contributo importante per la ricostruzione delle rotte del narcotraffico è arrivato dalle intercettazioni ambientali effettuate nella taverna di una villa di Bentivoglio, la stessa sequestrata ad aprile durante l’operazione “Golden Jail”. L’abitazione, intestata a Mercuri ma di fatto di proprietà di Ventrici, era usata infatti per gli incontri tra i vari uomini del clan perché ritenuta sicura. Qui, invece, la polizia ha potuto sapere fin dalla seconda metà del 2010 della preparazione del carico, i 1.500 chili di cocaina stipati in 50 contenitori da caricare nell’area militare dell’aeroporto della capitale ecuadoriana. E ha potuto sapere anche che, a metà dicembre, sembrava tutto pronto.

Ma un viaggio che avrebbe dovuto essere conclusivo effettuato lo scorso 17 dicembre si è invece concluso con una serie di problemi. Intanto il mancato accordo sul prezzo della coca, che i colombiani avevano fissato a 30 mila euro al chilo. E poi il rifiuto di Kramer di trasferire il mezzo dall’area civile a quella militare dello scalo internazionale di Quito. Perché il pilota si sia messo di mezzo non è ancora chiaro agli investigatori italiani, ma non è stato l’unico intoppo. In un vertice tenutosi il 30 dicembre di nuovo nella villa di Bentivoglio si decide di riprendere per recuperare anche un ostaggio calabrese rimasto in Ecuador a “garanzia” del buon esito dell’operazione. In quell’occasione Kramer avrebbe subito anche una serie di intimidazione se avesse giocato un altro scherzo come quello di quasi due settimane prima.

Tuttavia i problemi sono continuati. Intanto il 26 gennaio è scattata l’operazione della Dda e dei carabinieri di Catanzaro, la “Decollo ter”, che aveva portato all’arresto di Barbieri e di Ventrici, oltre al sequestro di una tonnellata di cocaina giunta al porto di Gioia Tauro. Poi, dopo la scarcerazione, l’omicidio di Barbieri, freddato il 12 marzo a San Calogero, in pieno territorio dei Mancuso, pochi giorni prima che riprendesse la via dell’Emilia Romagna dove riprendere i suoi affari. Un omicidio che ancora oggi conserva aspetti non chiariti: intanto è avvenuto in una zona dove il boss avrebbe dovuto essere protetto perché controllato dalla famiglia ‘ndranghetista a cui apparteneva. E poi per il movente che pare assente, dato che non sembrava che Barbieri avesse fatto qualche sgarro al suo clan. Sta di fatto che dopo questo delitto si assiste a un movimento curioso: tutte le persone coinvolte nel narcotraffico lasciano il bolognese e riparano in Calabria, dove sono stati arrestati questa mattina.

Intanto il 3 marzo Ventrici (ancora in carcere, ma dalla prigione avrebbe continuato a coordinare a gestire il giro) e i suoi affiliati avevano ripreso l’organizzazione del trasporto di coca. Avevano ripreso “lentamente”, dicono gli investigatori, dato che sembrano abbandonare – per quanto non in via definitiva – l’idea del trasborso aereo prendendo in considerazione anche motonavi e container che passassero nei buchi dei controlli doganali.

Però ad aprile la “Golden Jail” e il sequestro della villa di Ventrici avevano fatto saltare anche il luogo “sicuro” dei malavitosi rendendo ancora più complicato il progetto, proseguito con ancora maggior lentezza. La decisione di intervenire oggi, a cocaina non ancora partita dall’Ecuador, avviene perché, come ha commentato Fabio Bernardi, capo della squadra mobile di Bologna, “c’erano brutti segnali” che avrebbero lasciato presagire un’escalation di violenza. Ma pur in assenza della droga, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, “la dettagliatissima indagine svolta dalla polizia giudiziari […], coniugando il tenore delle conversazioni captate con l’attività di diretta osservazione, costituisce indubbia prova dell’organizzazione e dell’esecuzione di un tentativo di importazione di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente”. Un tentativo fatto da “una già radicata struttura, connotata da imprescindibili regole gerarchiche e funzionali non scritte […] che trascende la mera occasionale contingente pianificazione del reato contestato”.

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