Siamo di fronte ad una svolta probabilmente epocale: il modello economico nato 250 anni fa dalla rivoluzione industriale e basato sulla crescita infinita si scontra con i limiti fisici della biosfera. Dopo la caduta del Muro di Berlino, ci si era illusi che l’economia capitalistica e liberista, guidata dalla mano invisibile del mercato, avrebbe portato progresso e benessere per tutti, ma così non è stato. Il mondo non è mai stato così ricco (per pochi) e mai così povero (per moltissimi) e tale divario è in aumento anche nel mondo occidentale. Negli ultimi decenni si sono succeduti conflitti per il controllo delle risorse; oggi il Nord Africa è scosso da venti di guerra e di ribellione mentre migliaia di persone premono alle nostre frontiere e spesso perdono la vita nel disperato viaggio verso l’occidente. Infine, la questione ambientale: forse mai come negli ultimi anni la natura ha svelato la sua forza distruttiva fra uragani, terremoti e tsunami. Nessuno mette più in discussione l’effetto serra, ma ci si è già dimenticati del disastro ecologico causato dalla piattaforma petrolifera della Bp un anno fa al largo della Florida.

Ora, dopo Fukushima, l’uomo, apprendista stregone, scopre tutta la sua impotenza e incapacità di governare e controllare l’energia nucleare. Ce n’è abbastanza per decretare il fallimento e la fine di tutte le teorie economiche degli ultimi 50 anni e per dire che siamo di fronte ad una crisi economica, finanziaria, ambientale, politica, sociale e culturale senza precedenti. Per uscire da tale crisi occorre un radicale cambio di paradigma culturale. Non si può più pensare di risolvere i problemi causati dal vecchio modo di pensare senza adottare nuovi strumenti culturali e nuove categorie di pensiero e di azione. Non si può più pensare nemmeno in termini di crescita e sviluppo sostenibile, perché siamo sempre all’interno dei vecchi schemi, sia pure in una logica più “umana” o di semplice riduzione del danno.  Per uscire dalla crisi la strada obbligata è quella di una economia della decrescita e di una finanza eticamente orientata, come cercheremo brevemente di illustrare.

La decrescita si pone l’obiettivo di ridurre l’utilizzo di combustibili fossili, il consumo della materie prime e la produzione di rifiuti.  La decrescita non è una semplice diminuzione del Pil, ma una riduzione guidata della produzione e del consumo di merci che non sono sempre sono beni. Bisogna ridurre il superfluo e gli sprechi. Meno e meglio. Per raggiungere tale obiettivo occorrono tecnologie ben più avanzate di quelle attualmente in uso. Da ciò deriva la necessità di creare occupazione in attività  professionalmente più evolute e oggettivamente utili (ad esempio, nel settore dell’agricoltura biologica, del risparmio energetico, del recupero di materiali, della produzione di energia da fonti rinnovabili). Professioni utili non solo perchè producono beni (e non merci) che soddisfano bisogni primari ed essenziali, ma anche perché riducono il consumo di risorse che stanno diventando sempre più rare: si pensi in particolare alle fonti fossili, ma anche agli effetti negativi sull’ambiente che inevitabilmente ne derivano sia in fase di prelievo, sia in fase di utilizzazione.

Bisogna impostare una nuova politica economica e industriale in grado di creare occupazione di qualità e riavviare il ciclo economico. La crescita da almeno trent’anni non crea occupazione, tanto meno occupazione di qualità. Le politiche economiche tradizionali, finalizzate a superare la crisi e a rilanciare la crescita sostenendo la domanda attraverso la spesa pubblica, la riduzione delle tasse e il credito al consumo, hanno fallito miseramente. In questa fase storica nei paesi industrializzati la decrescita è l’unico modo di creare occupazione.

Alcuni semplici esempi concreti: non serve costruire nuove case, che consumano il territorio e restano spesso invendute, occorre invece ristrutturare l’intero patrimonio edilizio esistente secondo criteri di efficienza energetica. Non serve costruire nuove auto, in Italia ve ne sono già oltre 35 milioni, serve invece diversificare, puntare sulla microcogenerazione di energia, investire in tecnologia e ricerca in campo energetico e ambientale. Non serve incenerire i rifiuti, perché è nocivo per la salute ed è uno spreco di risorse che vanno invece recuperate e riciclate. Il superamento della crisi economica si può dunque realizzare solo sviluppando le tecnologie che consentono di attenuare la crisi ambientale aumentando l’efficienza con cui si usano le risorse, riducendone il consumo e, di conseguenza, l’impatto ambientale. E qui entra in gioco una nuova finanza, la finanza etica o eticamente orientata, ovvero attenta alle conseguenze sociali e ambientali dell’agire economico.

La decrescita e la finanza etica possono e devono andare a braccetto e lavorare in sinergia: la finanza etica può finanziare progetti e iniziative orientate alla decrescita e la decrescita, se correttamente applicata e guidata, può generare un nuovo ciclo occupazionale ed economico i cui redditi saranno utilizzati o reinvestiti secondo i criteri della finanza etica, creando un circolo virtuoso destinato ad autoalimentarsi, a crescere (è questa la crescita che auspichiamo!) e a lasciare un mondo vivibile alle generazioni future.

Una cosa è certa: in questo momento nessuno ha idea di come uscire dalla crisi. Il Movimento della Decrescita Felice e quello della finanza etica hanno il vantaggio di avere sia le idee che gli ideali, e non è cosa da poco. Nei prossimi 10-20 anni ci giochiamo il nostro futuro. Cerchiamo di giocarcelo bene!

Maurizio Pallante, presidente del Movimento per la Decrescita Felice
Luca Salvi, coordinatore soci veronesi di Banca Etica

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