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Pacifismo a vocazione suicida

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Ha ragione Gino Strada a ricordarci che le guerre sono fondamentalmente un esercizio di forza idiota. Ha ragione in una affermazione ovvia e, penso, condivisibile da tutti. Ma come accade sempre nella vita, le contraddizioni delle situazioni che è necessario affrontare lasciano poco spazio a facili soluzioni. E che questa situazione sia ben diversa da quella dell’Afghanistan o dello stesso Iraq o dell’intervento in Kosovo lo comprendono, visto il silenzio, anche moltissimi pacifisti. I quali, immagino, non abdicano ai propri valori ma faticano a coniugarli con l’accusa di rimanere inerti di fronte a un massacro. Cosa è cambiato rispetto alle precedenti guerre? Quali sono i punti di contatto tra scenari geograficamente, politicamente e storicamente così diversi e lontani?

Un punto di contatto riguarda sicuramente la maggiore consapevolezza che appellarsi a soluzioni di mediazione politica o di embarghi economici lascia il tempo che trova. Soprattutto quando un’azione di guerra è già in divenire e i tempi decisionali si misurano in giorni e non in mesi o anni. Una seconda dimensione investe la certezza che le guerre sono principalmente dettate da interessi politici ed economici che, in questa fase moderna, sono contrabbandati da interessi umanitari: defilati, ma esistenti. Un terzo fattore riguarda la vicinanza o la lontananza geografica di questi “interessi umanitari”.

A mio parere il movimento pacifista non riesce più a districare la matassa e l’aggrovigliarsi di un insieme di dimensioni umane, politiche e giuridiche configgenti tra loro, e il ricorrere, quale unico parametro, all’orrore delle vittime civili in Libia non è sufficiente. In nome di questo orrore ci si oppone alle guerre, consapevoli, però, di tacere su altre vittime civili e relativi orrori dovuti ai despoti o dittatori di cui è pieno il mondo. Uno di questi era ed è il buon Gheddafi, da innumerevoli anni nostro amico.

Il pacifismo non può che essere preventivo: esistere e mostrarsi proprio in tempi di pace, diventare cultura di un popolo. Riprendere vigore e mostrarsi negli anni in cui si vendono armi ai dittatori o si fanno affari con loro contrastando, quotidianamente, le politiche degli stati che vanno a braccetto con questi paesi. Forse questo è il contributo più importante che ci trasmettono persone come Gino Strada, Alex Zanotelli o Giulietto Chiesa.

Ma, a parte pochi uomini e donne, la maggior parte di noi non si preoccupava molto del fatto che il gas con cui ci scaldavamo ce lo vendesse un dittatore. Al di là del mare. E forse è proprio questa insanabile contraddizione che fa tacere, in una lenta agonia, il movimento pacifista. Un suicidio assistito dalla nostra poca consapevolezza unita ad una spasmodica e irrinunciabile voglia di comodità.

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