La storia dell’Aquila dopo il terremoto del 6 aprile 2009 va riscritta. Va riscritta alla luce di recenti eventi catastrofici, va riscritta alla luce di quel che succede all’Aquila stessa. Va affrontata in maniera razionale, a partire dalla mancata prevenzione fino alle conseguenze dell’intervento post-emergenziale.

Qualcuno ci ha già provato, incluso il sottoscritto, in Protezione Civile SpA. Ma molti eventi che si sono susseguiti in questi due anni – si avvicina il secondo anniversario – rischiano di perdersi nel marasma delle notizie, del flusso che ci distrae e che relega questa o quella zona del mondo a un riquadro piccolo piccolo sul web, a una pagina a doppia cifra sulla carta. «La storia s’ingozza degli episodi più freschi e deglutisce quanto può ciò che è più vecchio», scrive Joe Sacco in Gaza 1956. Vale per tutto. Anche per L’Aquila.

E’ facile capirlo ricordando, per esempio, che il 16 giugno 2009, una nutrita delegazione di aquilani approda a Roma, per la prima volta: protestano davanti a Montecitorio contro il cosiddetto Decreto Abruzzo, che per la prima volta nella storia della gestione dei terremoti prevedeva un massiccio intervento di (ri)costruzione (in realtà di costruzione ex novo), con le cosiddette C.A.S.E. Fin da allora, per alcuni era chiaro che questa decisione avrebbe comportato l’esclusione delle autonomie locali dalla ricostruzione, conseguenze sociali imprevedibili a lungo termine, apertura a profili di scarsa trasparenza e via dicendo. Si rimaneva cassandre isolate, però, a protestare in quei giorni. Complice una massiccia campagna di santificazione mediatica e l’incapacità dell’antisistema (e dell’opposizione politica) di rendersi conto di quel che sarebbe successo, il progetto non si poté fermare in alcun modo.

A dimostrazione del fatto che chi protestava allora aveva più d’una ragione arrivano, dopo le sue dimissioni dalla carica di sindaco dell’Aquila, le parole di Massimo Cialente che, finalmente, a Radio Vaticana ammette, ma solo dopo le dimissioni: «E’ chiaro comunque che il modello di una ricostruzione imposta dall’alto non ha mai funzionato. I sindaci non possono fare niente, neanche decidere la priorità dei luoghi dove raccogliere le macerie. Il commissariamento è qualcosa di allucinante.»

E così, è bene rinfrescarci la memoria. E ricordare, per esempio, a quali incredibili restrizioni fossero sottoposti i giornalisti che tentavano di documentare, per esempio, la realtà delle tendopoli, una fase fondamentale nella gestione di un’emergenza. Durata, all’Aquila quasi 8 mesi, in alcuni casi.

Ecco perché ho pensato, d’accordo con la redazione del Fattoquotidiano.it, di rendere disponibile gratuitamente un racconto a puntate, un documentario dal titolo Yes We Camp, che ho girato all’Aquila e a Roma fra il 16 giugno e il 23 ottobre 2009. Scoprirete, se vorrete, che è molto attuale. E che ascoltare le testimonianze degli aquilani di quei giorni lascia intendere come fosse già tutto chiaro, come si potesse intervenire per fermare un processo che ora, a due anni dal sisma, rischia di gettare L’Aquila nel baratro, definitivamente.

Credits:

Yes We Camp – episodio 1 di 12

una produzione iK
Italia, 2010 | HDV | 93′

regia di Alberto Puliafito
prodotto da Fulvio Nebbia

scritto e montato da Alberto Puliafito
assistente di produzione: Marta Musso
montaggio del suono e mix: Davide Favargiotti
colorist: Michele Ricossa
musiche di Fabrizio Panbianchi, Alessandro Zangrossi, Natural Breakdown

Sinossi
Nato da una collaborazione con Repubblica Tv, Yes We Camp prende il nome da una scritta comparsa sul cartellone di un giovane terremotato durante la manifestazione del 16 giugno durante la quale i terremotati chiedevano di rivedere il Disegno Legge che avrebbe approvato il Piano C.A.S.E.
Il film inizia proprio da quella manifestazione in Piazza Montecitorio, prosegue con la fiaccolata del 6 luglio dedicata al ricordo delle vittime, passa attraverso il racconto del G8 e di tutto il mese di agosto 2009 e dei primi giorni del mese di settembre, si chiude nel futuro, all’Aquila, nel 2032. È il punto di vista di un osservatore esterno che cerca di capire e di raccontare le storie delle persone che fanno parte di una Storia in continua evoluzione. È un insieme di affreschi, senza pretesa di avere la verità in tasca. Un racconto che si apre e si chiude con un punto interrogativo.

Dicono di Yes we Camp
Racconta con sguardo freddo di tende smontate senza preavviso e dell’impossibilità di manifestare dissensi. Realtà mostrate con stile cronistico, fluido e incalzante”, Paolo Calcagno, L’Unità
“Gli sfollati aquilani tramite il documentario di Alberto Puliafito hanno trovato voce in quell’America che sempre si è distinta, come terra in cui la libertà d’espressione regna sovrana”, Elisa Calpona, America Oggi
“Una sorta di Gomorra, una prospettiva degli eventi accaduti ma mai sfiorati dalla sovrapposizione pantagruelica di notizie sfornata dai media in quel periodo”, Paola Dalle Molle, Messaggero Veneto
“Un insieme di affreschi, un racconto che si apre e si chiude con un punto interrogativo”, Liberazione

Festival:
– Milano Film Festival
– Festival del Documentario d’Abruzzo
– Le Voci dell’inchiesta
– Piemonte Movie gLocal Film Festival

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