Hosni Mubarak non si candiderà alle elezioni di settembre. Il presidente egiziano in un discorso alla Nazione ha però confermato che non lascerà il suo incarico come gli chiede la piazza. “La mia prima responsabilità – ha detto – è ripistinare la sicurezza per arrivare ad una transazione pacifica del potere”. “Non mi candiderò alle prossime elezioni – ha sottolineato – ma voglio concludere il mio lavoro presentando l’Egitto al prossimo governo che verrà dopo di me”. A stretto giro è arrivata la risposta del leader dell’opposizione El Baradei che ha sottolineato che nel caso il rais decida di lasciare il suo ruolo nel Paese  non ci sarebbe nessun vuoto di potere: “Abbiamo rifiutato il dialogo con il rais dopo che è diventato chiaro che il regime non aveva intenzione di ascoltare le richieste dell’opposizione”.

Nel frattempo si sono fatte sentire anche le forze armate che hanno chiesto alla popolazione di tornare a casa: “Le vostre richieste sono state udite.  Voi avete iniziato con lo scendere nelle strade per esprimere le vostre richieste e voi siete coloro che hanno la possibilità di ripristinare la vita normale. E’ possibile tornare a viverla”. Una richiesta che per il momento non viene accolta. Dopo la manifestazione di ieri che aveva portato in piazza solo al Cairo due milioni di persone, l’opposizione ha annunciato che rimarrà per le strade.  “Continueremo l’Intifada popolare fino alla partenza di Mubarak”, ha detto il segretario del ‘comitato politico dell’opposizione unità, Abu Al Izz Al Hariri.

Insomma, il discorso di Mubarak non sembra avere sortito gli effetti sperati. Intanto si è mosso anche il presidente Usa. Barack Obama ha chiesto al presidente egiziano di non ripresentarsi alle elezioni togliendo ufficialmente il sostegno Usa al suo alleato arabo. Lo rende noto il New York Times citando fonti diplomatiche. Il messaggio a Mubarak sarebbe stato recapitato dal diplomatico americano Frank Wisner che avrebbe consigliato al leader egiziano, secondo quanto riporta il quotidiano Usa, “di mettere in atto un processo di riforme che porti a libere ed eque elezioni a settembre per un nuovo leader”. Citando fonti diplomatiche, il NewYork Times riferisce anche che quella del presidente americano nei confronti del capo di Stato egiziano Mubarak non è stata “una richiesta perentoria” ma un “fermo consiglio”. Il quotidiano, sempre citando fonti diplomatiche, riferisce che non è chiaro al momento se l’amministrazione Usa sia a favore di un governo di transizione composto dai principali leader di opposizione egiziani, oppure di un governo retto da membri dell’attuale regime, come l’attuale vicepresidente Omar Suleiman.

La morsa di Hosni Mubarak sull’Egitto sembra sempre più debole, all’indomani giorno in cui l’opposizione è scesa in piazza al Cairo per dare una spallata definitiva al regime. A centinaia di migliaia, due milioni secondo gli organizzatori che avevano auspicato questi numeri alla vigilia, si sono radunati a piazza Tahrir, epicentro delle proteste anti-regime. Da lì si sono mossi, in un gigantesco fiume umano, verso il palazzo presidenziale super presidiato, per chiedere che il Rais si faccia da parte. Il clima è stato festoso, con canti e persone di ogni età. Molti anche i bambini accompagnati dai genitori, che hanno sventolato bandiere inneggianti alla fine del regime.

Tutto si è svolto regolarmente, sotto l’occhio vigile dell’esercito, una forza potente e rispettata in Egitto. I militari nella notte di lunedì hanno assestato un altro duro colpo all’82enne Mubarak, sostenendo che le proteste della piazza sono legittime e assicurando che non apriranno il fuoco sui manifestanti. Per accedere alla piazza si dovevano superare vari posti di blocco allestiti dai militari che, secondo al Jazeera, hanno arrestato “sabotatori e delinquenti” che tentavano di infiltrarsi. Intanto, davanti alla tv di Stato, decine di persone hanno partecipato a manifestazioni pro-Mubarak organizzate dal partito del Rais. E mentre un elicottero militare sorvolava la zona, soldati e carri armati sono rimasti schierati nelle vicinanze degli accessi, dove però non si sono visti agenti della polizia.

Secondo la Bbc, ad Alessandria, la seconda città più grande dell’Egitto, migliaia di persone si sono raccolte alla stazione ferroviaria per cercare di raggiungere il Cairo. Secondo al Arabiya, ad al-Arish, 250mila persone che volevano partire per la capitale sono state bloccate. Nuove proteste si sono svolte anche a Mansura, Demiat, Damenhur, Menia e Al Kubra.

Un ultimatum a Mubarak è stato lanciato dal leader dell’opposizione Mohamed el Baradei, che ieri ha intimato al presidente egiziano attraverso la tv satellitare al Arabiya di andarsene: “Lasci il Paese per evitare un bagno di sangue”, e lo faccia “entro venerdì, giorno battezzato come quello della ‘partenza’”.

Secondo l’Onu dall’inizio delle proteste sono già morte 300 persone. Lo ha affermato a Ginevra l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Navi Pillay, citando notizie “non confermate”. I feriti potrebbero essere oltre tremila, centinaia gli arrestati.  E sulla rivolta in Egitto è intervenuto anche il regime di Teheran. Secondo il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Ramin Mehman-Parast, il rovesciamento dei regimi attualmente al potere in diversi Paesi arabi, tra cui l’Egitto, porterebbe a un miglioramento dei loro rapporti con l’Iran e alla creazione di “un Medio Oriente islamico e potente capace di opporsi a Israele”.

(l.f.)

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