Mentre la peggiore crisi finanziaria dall’epoca della Grande Depressione mieteva vittime in tutti i segmenti di mercato, il settore degli investimenti responsabili in Europa ha continuato a crescere evidenziando un’onda lunga di espansione destinata, probabilmente, a confermarsi tale anche in futuro. Lo rivela una ricerca resa pubblica in questi giorni dallo European Social Investment Forum (Eurosif), un’organizzazione creata nel 2001 come punto di riferimento per gli investitori del comparto “sostenibile” del Vecchio Continente. Un’espansione, quella evidenziata dall’indagine condotta insieme a Bank Sarasin e Highland Good Steward Management, che ha interessato gli investimenti individuali e familiari delle fasce più ricche della popolazione. Quelle, cioè, maggiormente propense per ovvi motivi a orientare nei mercati finanziari le proprie strategie di risparmio.

Le cifre, manco a dirlo, si rivelano clamorose. Nella classificazione per reddito, il gruppo dei cittadini europei più ricchi è costituito da quasi 3 milioni di individui titolari di un patrimonio complessivo pari a 6,6 trilioni di euro (6.600 miliardi). La crisi, che ci crediate o meno, ha colpito anche loro provocando tra il 2007 e il 2009 una riduzione delle ricchezze pari all’11%. Eppure, ed è questo forse il dato più significativo, i loro investimenti cosiddetti “responsabili” sono aumentati come non mai, raggiungendo quota 729 miliardi di euro, circa il 35% in più rispetto al 2008. Un trend destinato a confermarsi in futuro se è vero, come sostiene Eurosif, che l’ammontare totale di questa fetta di mercato dovrebbe accarezzare nel 2013 gli 1,2 trilioni di euro, ovvero il 15% del portafoglio complessivo degli investimenti.

Ma cosa si nasconde dietro questa sorprendente espansione? Secondo i ricercatori la chiave di tutto si collocherebbe nella natura stessa delle operazioni finanziarie. Eurosif definisce “responsabili” quegli investimenti condotti secondo quei criteri di sostenibilità sociale, umanitaria e ambientale che diventano incentivi o discriminanti nella scelta dei titoli e delle strategie operative. L’aspetto più importante, rivela ancora la ricerca, è che questo tipo di scelta (no alle imprese che inquinano, producono armi o fanno affari con i regimi dittatoriali, sì al microcredito e agli investimenti orientati allo sviluppo o al green business) sarebbe risultato particolarmente opportuno per garantire stabilità in tempi di crisi. Secondo il 94% dei gestori e il 75% degli individui intervistati, il grande crunch creditizio con tutte le sue note conseguenze avrebbe avuto addirittura un impatto positivo sugli investimenti responsabili.

Per gli operatori, in altre parole, questo crescente mercato della “sostenibilità” non rappresenterebbe più un’alternativa alle attività filantropiche quanto piuttosto una vera e propria fonte di opportunità e guadagni. “Nel contesto dell’attuale crisi finanziaria questi investimenti hanno permesso a molti clienti non solo di evitare grandi perdite ma anche di ottenere un reale valore aggiunto”, spiega Burkhard Varnholt, chief investment officer di Bank Sarasin. Secondo il direttore di Eurosif Matt Christensen tocca ora alle grandi banche private impegnarsi per fidelizzare una clientela sempre più propensa ad alimentare quella domanda di investimenti sostenibili che conosce una crescita inarrestabile in Europa e non solo.

Il trend di espansione, infatti, sarebbe evidente da tempo in tutto il mondo. Meno di un anno fa una ricerca condotta dalla banca olandese Robeco e dalla statunitense Booz & Company aveva reso note cifre da capogiro. Secondo gli analisti, il valore del mercato mondiale degli investimenti responsabili sarebbe destinato a passare dai 5.000 miliardi di dollari del 2007 ai 26.500 del 2015 arrivando a costituire, per quella data, un quinto dell’intero mercato degli investimenti gestiti su scala globale.

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