L’analisi

Condono Ischia, una figura di palta per 409 case abusive (e far decidere tutto con la legge Craxi è incomprensibile)

Autogol - Poche centinaia le pratiche inevase che riguardano edifici danneggiati

15 Novembre 2018

In queste righe cercheremo di spiegare cos’è e cosa comporta di preciso quello che viene chiamato “condono di Ischia”, però il senso della cosa può essere ridotto a poche righe: una bella figura di palta, soprattutto per i 5 Stelle e Luigi Di Maio, per 409 case.

A che serve. A Ischia, come nel Centro Italia (dove sindaci e governatori del Pd però esultano e quindi sui giornali se ne parla poco), la ricostruzione post terremoto è spesso bloccata da incertezze legate a cosa e dove ricostruire: chi ha domande di sanatoria pendenti ritiene di poter ripristinare l’immobile com’era prima e, laddove questo gli venisse negato, può ricorrere invocando il suo diritto a veder concluso l’iter amministrativo sul suo immobile e persino il silenzio assenso.

Il testo. In sé non è un condono, non c’è alcuna riapertura dei termini, nessuno potrà chiedere di sanare alcunché: in sostanza, finisce però per esserlo. La norma riguarda le pratiche inevase per i condoni del 1985, 1994 e 2003 – ed è già una notizia che ce ne siano – e prevede che quelle riguardanti edifici distrutti o danneggiati vadano evase entro 6 mesi sospendendo, nelle more, l’eventuale erogazione dei contributi alla ricostruzione. Secondo i dati ufficiali, a quanto risulta al Fatto, l’articolo incriminato riguarda 409 domande di sanatoria inevase in tutto.

Il problema. Al di là di quanti siano i casi, la norma – in sé giustificata – in realtà introduce maglie troppo larghe nella valutazione delle pratiche inevase. Intanto viene citato anche il condono del 2003, varato quando già era in vigore il piano paesistico campano che renderebbe di fatto tutte le domande di quella tornata inaccettabili. Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, a cui questa norma su Ischia piace poco, è riuscito a far introdurre la previsione che il parere venga dato anche dalla Soprintendenza, competente sul paesaggio, e dalla città metropolitana, che deve vigilare invece sul dissesto idrogeologico.

La porcata. Il vero problema di questo articolo è però una previsione presente nel decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale. Questa: “Per la definizione delle istanze di cui al presente articolo, trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai Capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47”. Significa che tutte le 409 domande in questione saranno esaminate sulla base di un condono aperto prima che fossero in vigore leggi fondamentali sul paesaggio e il rischio idrogeologico esponendosi nel migliore dei casi, in caso di rifiuto ai sensi delle nuove leggi, ai ricorsi degli interessati. In sostanza applicare la legge del 1985, significa, come scrive Legambiente, “sanare anche abusi edilizi che oggi sono insanabili ai sensi dei due condoni successivi” o esporsi a nuovo contenzioso. Scelta incomprensibile tanto più che riguarderà pochi casi.

L’emendamento. Curiosamente l’emendamento approvato a sorpresa in commissione e ieri cancellato dall’aula di Palazzo Madama cancellava proprio la peggiore previsione del decreto, cioè l’applicazione della normativa del 1985 anche agli altri due condoni. Una proposta di buon senso che andava mantenuta e invece è stata cancellata con una prova di forza in aula ripristinando la porcata. La scusa dei tempi di conversione del decreto è, francamente, poco credibile: il Senato lo approverà stamattina (in via definitiva) e, nel caso, la Camera avrebbe avuto due settimane per confermare la modifica di un solo articolo. Non un’impresa impossibile.

Cosa manca. Si poteva inserire una norma difensiva quanto ai termini in cui esaminare tutte le pratiche giacenti: è vero che 409 pratiche non sono un’enormità, però se dovessero scadere i sei mesi senza risposte, gli interessati potrebbero invocare il principio del “silenzio assenso”. Per questo era stato proposto, con un emendamento, una sorta di “silenzio rifiuto”: si potevano scegliere altre vie, ma lasciare il termine senza previsioni difensive potrebbe incentivare le commissioni a lasciar passare il tempo per far approvare tutte le domande.

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