L’intervista

“Sono nipote di abruzzesi e dico a Salvini: attento al Lussemburgo”

Mars Di Bartolomeo - Il presidente del Parlamento del Granducato avverte il ministro italiano, dopo la lite con il suo collega a Vienna

Di di Marco Lillo
16 Settembre 2018

Il presidente del Parlamento del Lussemburgo si chiama Mars Di Bartolomeo e ha sangue al 100 per cento abruzzese. Fa parte del Partito Socialista Operaio, come il ministro degli Esteri Joan Asselborn, che ha ricordato a Salvini venerdì: “In Lussemburgo, caro signore, migliaia di italiani sono venuti a lavorare come migranti affinché in Italia poteste avere i soldi per i vostri figli”. Per poi concludere “merde, alors”. Il Fatto ha chiesto a Di Bartolomeo un parere sulla lite e lui ha colto l’occasione per bacchettare Salvini (“la sua politica semplifica, divide e semina odio”) ma anche per dirgli: “Se davvero la Lega ha nascosto la sua cassa nel mio Paese, presto scoprirà che non siamo un paradiso fiscale ma seguiamo le regole della trasparenza”.

Presidente Di Bartolomeo, cosa ha pensato quando ha visto il video di Salvini con il suo compagno di partito?

Ho pensato che per colpa di movimenti nazionalisti, come quello di Salvini, tutto quel che abbiamo fatto per unire i nostri popoli è ora in pericolo. Questo modo di dividere e semplificare mi ricorda quel che abbiamo vissuto prima della Seconda guerra mondiale. E mi fa paura.

Anche Asselborn è andato sopra le righe …

Lui aveva citato il premier francese Macron dicendo solo che i migranti possono essere un’opportunità in un continente che invecchia. Salvini gli ha replicato dicendo che forse voleva soppiantare i nostri figli con ‘schiavi’. Questa immagine non è innocente. I migranti sono spesso scuri e lui, usando la parola schiavi, ha voluto richiamare concetti noti. Questo modo di dividere tra nero e bianco è usato dai Trump, gli Orbán… Semplifica, divide e peggiora il mondo. La mia politica e la mia storia è diversa. Io sono nato lussemburghese, ma i miei nonni sono partiti dall’Italia perché erano trattati, loro sì, come schiavi.

Schiavi in Italia?

Mio nonno materno era di una località vicino a Teramo, Ponte Vomano. Lui mi ha raccontato che c’erano i latifondisti che li trattavano come schiavi. Mio nonno paterno era di San Demetrio Ne’ Vestini, in provincia de L’Aquila. Non fuggivano dalla guerra, ma da quella situazione di estrema povertà. Nessuna ditta li aveva chiamati in Lussemburgo. Sono venuti da soli, senza le famiglie: giovani maschi come i migranti di oggi. Erano schiavi in Italia e sono diventati più liberi grazie al Lussemburgo. Non c’è più memoria. Allora l’Europa era Mussolini e Hitler. Ora ci sembra scontato che esista la pace, ma non è così.

Era più facile integrare i suoi nonni nel Lussemburgo di allora, che i migranti africani di oggi in Italia.

Oggi i lussemburghesi mangiano italiano, vestono italiano, fanno le vacanze in Italia ma è un amore recente. Allora l’Italia era un Paese sconosciuto, abitato da gente diversa per lingua e cultura. Quando ero piccolo, negli anni 60, ci chiamavano con disprezzo ‘spaghetto’, ‘orso’, o ‘boccia’, per irridere le origini italiane. Poi sono diventato sindaco della mia città, Dudelange, poi ministro e ora sono il presidente del Parlamento lussemburghese.

Lei è il corrispondente di Roberto Fico, che ne pensa?

Fico mi piace per quello che ha detto sui migranti. Ho cercato di contattarlo tramite la sua segreteria, senza successo, per invitarlo in Lussemburgo. Mi piacerebbe mostrargli il CDMH, Centro di documentazione sull’immigrazione, da me voluto nella stazione di Usines a Dudelange, nel quartiere ‘Piccola Italia’, un luogo importante perché dimostra che l’immigrazione all’inizio è un problema ma può diventare una grande opportunità.

I leghisti le direbbero che non c’erano problemi così forti per le differenze di cultura e religione in quella immigrazione italiana.

Non è vero. Dopo le guerre nella ex Jugoslavia, venti anni fa, c’è stata una forte immigrazione anche islamica. E gli italiani all’inizio non erano ben visti. I miei nonni non erano avvocati ma lavoravano in una miniera e in una fabbrica di ferro. I loro colleghi erano quasi tutti italiani. Mezzo milione di italiani sono venuti in Lussemburgo. Molti sono andati via, ma per capire quanti siano rimasti basta consultare l’elenco telefonico. Io mi chiamo Di Bartolomeo e sono il presidente del Parlamento.

Il suo ‘compagno’ Asselborn pensava a lei quando rispondeva a Salvini?

Lui viene da un ambiente operaio, conosce bene la storia degli italiani emigrati in Lussemburgo. Quando ha sentito chiamare, da un ministro italiano, i migranti ‘schiavi’, ha reagito.

Sì, ma quel ‘Merde alors’ se lo poteva risparmiare.

Non equivale a un insulto come ‘stronzo’ (scusi il termine) è un modo forte e un po’ volgare di dire: ‘Ora basta!’.

Però l’Europa del suo concittadino, il presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, sembra costruita per le banche più che per i popoli.

L’Italia ha ragione quando dice che è stata lasciata sola di fronte all’immigrazione. Juncker ha provato a cambiare le cose ma troppo tardi.

Salvini ha detto che il Lussemburgo è un paradiso fiscale e non può darci lezioni.

Presto si accorgerà che non è così. Se veramente la Lega ha lasciato il suo tesoro in Lussemburgo, non è al sicuro. Perché il Lussemburgo è cambiato molto negli ultimi 15 anni e noi seguiamo le regole della trasparenza.

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