Lavoro

Decreto Dignità, critiche autogol di Martina. La licenziata da Anpal: “Non giochi su nostra pelle, Pd ha responsabilità”

Il segretario cita il caso della lavoratrice di una società pubblica lasciata a casa per non stabilizzarla. Lei lo zittisce via Twitter. Intanto il Servizio bilancio della Camera ha espresso dubbi sul calcolo Inps degli 8mila contratti a rischio

29 Luglio 2018

Mercoledì alla Camera inizierà l’esame del decreto Dignità. Il provvedimento, approvato dal governo il 2 luglio, ha subito diverse modifiche durante il passaggio nelle commissioni di Montecitorio, ma resta intatta l’ impostazione di fondo: dal 1° novembre, in buona sostanza, per le imprese italiane sarà più difficile usare contratti a tempo determinato. Per quelli di durata superiore ai dodici mesi, sarà obbligatorio indicare la causale; comunque non potranno essere rinnovati più di quattro volte (invece che cinque) e non potranno sforare il limite massimo di 24 mesi (e non più 36).

L’obiettivo è contrastare il precariato spingendo le aziende a stabilizzare i dipendenti. Secondo Confindustria e l’opposizione, in particolare il Pd, ci sarà l’effetto contrario e i precari di oggi diventeranno i disoccupati di domani. Per supportare la tesi, in questi giorni vengono enfatizzati i primi casi di persone che – precari da più di due anni, quindi non più “rinnovabili” – sono mandate a casa (o sono in procinto di esserlo) dai propri datori.

Un episodio è stato raccontato su Repubblica: Valeria, neo-mamma di 35 anni, lavorava per Anpal servizi, società pubblica controllata dall’agenzia Anpal che si occupa proprio di politiche del lavoro e aiuta i disoccupati a trovare un impiego. Valeria aveva un contratto a termine da agosto 2016. Viste le nuove norme, non potrà essere rinnovato: Anpal servizi – amministrata da Maurizio Del Conte, professore nominato da Matteo Renzi come responsabile delle politiche attive e tra gli autori del Jobs act – l’ha mandata a casa. Licenziata dal decreto Dignità? No, cacciata (o, meglio, non rinnovata) da Anpal Servizi che ha preferito privarsi di lei piuttosto che stabilizzarla. L’azienda in house (ex Italia Lavoro) era al centro del Jobs act: Renzi voleva trasformarla nel braccio armato contro la disoccupazione. Poi però non è riuscito nemmeno a garantire un posto fisso agli 800 precari che ci lavorano (su 1.300 dipendenti). Questi addetti lottano da tempo per ottenere la stabilizzazione; un anno fa era stata promessa almeno ai più “anziani”, ma – raccontano – si è bloccato tutto dopo 50 assunzioni.

Ieri il segretario Pd Maurizio Martina ha rilanciato su Twitter la notizia di Repubblica incolpando il governo per la perdita di lavoro della giovane mamma. A rispondergli è stata però la stessa Valeria: “Non giocate sulla mia pelle la partita tra Pd e M5S. Il Pd non è esente da responsabilità #jobsact. La soluzione è la stabilizzazione dei precari, per me e per gli 800 di Anpal servizi”. A questo intervento si sono aggiunti quelli dei colleghi di Valeria. Il tweet di Martina, insomma, si è rivelato un autogol.

Un’altra storia utilizzata dai critici del “decreto dignità” è avvenuta a Benevento, nello stabilimento dove Nestlé produce la pizza surgelata Buitoni. Venti lavoratori interinali non sono stati rinnovati alla scadenza del secondo anno: Nestlé ha ammesso di averli lasciati a casa per le nuove norme, tuttavia ha fatto sapere che in quel sito sono previsti nuovi investimenti e assunzioni. Sarà un’occasione per richiamare i somministrati cacciati? “Valorizzeremo le competenze maturate sul territorio”, dice Nestlé. Tradotto: forse riassumeranno loro, forse assumeranno altri. Comunque, resta il fatto che, anche in questo caso, se quei lavoratori non rientreranno in azienda, non saranno stati mandati a casa dal “decreto dignità” ma da scelte dell’impresa.

Il fatto che il limite massimo per i contratti a tempo determinato passi da 36 a 24 mesi non può di per sé giustificare un aumento della disoccupazione. Le aziende, una volta raggiunto il limite di due anni, avranno due opzioni: stabilizzare il dipendente o lasciarlo e prenderne un altro al posto suo. Questo significa che aumenterebbe il turnover ma sul piano della matematica non si tratterà di un posto di lavoro in meno, perché quella posizione resterà attiva, semplicemente sarà ricoperta da un’altra persona (ovviamente, nessuno vorrebbe essere il lavoratore sostituito). Fino a ieri, peraltro, tanti precari venivano messi alla porta al termine del terzo anno anziché del secondo: nessuno però attribuiva al limite di 36 mesi per i contratti a termine le cause della disoccupazione.

I critici del decreto spesso confondono gli effetti sul singolo contratto del nuovo limite di 24 mesi con quelli contenuti nelle stime dell’Inps inserite nella relazione tecnica: secondo il presidente Tito Boeri si perderanno 8mila occupati a termine ogni anno per i prossimi 10. La sua previsione si basa sul calcolo – desunto dall’analisi di casi precedenti di modifiche normative di portata simile – per cui, su una platea di 80mila lavoratori a termine in servizio da più di 24 mesi, il 10% non sarà stabilizzato né sostituito. E questo per i prossimi dieci anni.

Questo calcolo, pur con linguaggio burocratico, è stato smontato dal Servizio Bilancio della Camera, che ha fatto notare l’arbitrarietà dei parametri scelti e come il calcolo presupponga modifiche dei comportamenti degli attori in gioco (le imprese) difficilmente prevedibili a tavolino. Secondo i tecnici di Montecitorio, infine, la platea totale dei contratti considerata da Inps è la metà di quella reale. Senza contare che una perdita di 8mila posti su 4,5 milioni di contratti a termine interessati alle nuove norme stipulati nel 2017 rischia di essere un mero “rumore statistico”. Boeri ha comunque difeso il suo calcolo: “È persino ottimistico”.

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