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Migranti, la confessione dei libici: “Primo soccorso in mare? Non siamo addestrati”

Un ufficiale libico sul caso Josefa: “Per noi erano morti e li abbiamo lasciati lì. La donna camerunense? Era buio, deve essere sfuggita alla vista dell’equipaggio della motovedetta"

22 Luglio 2018

“Non siamo preparati alle operazioni di primo soccorso in mare”. L’ufficiale della Guardia costiera libica – in una conversazione che proteggiamo con l’anonimato – ammette un drammatico limite nei loro interventi in mare. Un limite che collega al ritrovamento, il 17 luglio scorso, di due cadaveri e una superstite a circa 80 miglia dalla costa libica. Il militare parla letteralmente di first aid, primo soccorso, quando fornisce la sua versione sul salvataggio dei migranti poi recuperati dalla nave Open Arms della ong spagnola Proactiva. Il Fatto ha incrociato la sua testimonianza con altre fonti che confermano: “Accade spesso che sulle motovedette libiche non vi siano medici a bordo. Sì, non sono adeguatamente preparati per prestare un primo soccorso medico”.

È un altro elemento sul quale è necessario fare chiarezza e intervenire, dopo quello che il Fatto ha rivelato ieri, ovvero che i militari libici, per convincere i migranti a lasciare le imbarcazioni e salire sulle loro motovedette, spesso distruggono i gommoni con la gente ancora a bordo.

Torniamo alle parole dell’ufficiale libico. “Non siamo attrezzati per un primo soccorso medico – spiega – e inoltre, se troviamo un cadavere in mare, lo lasciamo in acqua, non possiamo portarlo a terra dove potrebbe restare per giorni e giorni”. Il riferimento è ai cadaveri della donna e del bambino ritrovati poi dall’equipaggio di Open Arms. Il militare sostiene che al momento del salvataggio erano già morti, che qualcuno abbia provato a verificare se fossero vivi, ma sia per la donna sia per il bambino non c’era più nulla da fare. E Josefa, la donna camerunense di 40 anni, che i volontari spagnoli hanno trovato aggrappata al relitto del barcone? “Era buio – conclude l’uomo – deve essere sfuggita alla vista dell’equipaggio della motovedetta”.

Se davvero, come sostiene il militare, Josefa è sfuggita alla vista e le altre due vittime erano già morte, un fatto è certo: il soccorso – andato a buon fine per circa 160 persone – non è stato perfetto. Ammesso che la donna e il bambino fossero già morti, almeno di Josefa si può dire che è viva soltanto grazie all’intervento provvidenziale della Ong spagnola. Oggi possiamo aggiungere che, a differenza delle Ong, le motovedette libiche viaggiano spesso senza medici a bordo e non sono attrezzate per un primo soccorso sanitario. Il dato si aggiunge alle rivelazioni di più fonti militari, altamente qualificate, che raccontano l’abitudine dei libici di affondare le imbarcazioni con i migranti ancora a bordo per convincerli a salire sulle loro motovedette.

“Il ministro della Difesa Elisabetta Trenta – spiegano fonti del suo dicastero – sta verificando la notizia: se fosse confermata sarebbe gravissimo”. Fonti del ministero delle Infrastrutture, dicastero guidato da Danilo Toninelli (M5S), spiegano: “Dalla Guardia costiera italiana fanno sapere che a Roma queste procedure non risultano”. Fonti vicine al ministro dell’Interno Matteo Salvini invece replicano così: “Non rispondiamo a ricostruzioni anonime e fantasiose sulla Guardia costiera libica. La certezza è che salva centinaia di vite in mare. Tra le altre cose, Tripoli ha appena riavuto tre delle sue motovedette, che l’Italia si è preoccupata di riparare. Mettere in dubbio l’attività della Guardia costiera libica offende anche i professionisti italiani che, come la Guardia di Finanza, la supportano e lavorano per addestrare il personale di Tripoli”.

Il punto è che nessuno accusa la Guardia di Finanza di addestrare i militari libici ad affondare i barconi con i migranti a bordo. E dubitiamo che una simile procedura sia mai stata messa nero su bianco. Forse sarebbe necessario avviare un’inchiesta per appurare se si tratti di casi sporadici o di una regola indicibile.

Sulla vicenda interviene Nicola Fratoianni di Liberi e Uguali, segretario di Sinistra italiana: “Ecco qua, ora cari Matteo Salvini e Danilo Toninelli, che fate? Denunciate Il Fatto Quotidiano? Andate alla ricerca delle fonti militari italiane che evidentemente schifate dalle pratiche libiche iniziano a raccontare la verità?”. Il Fatto, ovviamente, proteggerà le sue fonti con l’anonimato e conferma la notizia in attesa che il governo decida di fare chiarezza.

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