La politica deve unire le forze migliori. Come contro le Brigate rosse

11 Marzo 2018

“L’annientamento della scorta di Aldo Moro? Pensavamo che rispondessero al fuoco, non immaginavamo che fossero così sorpresi. Il colpo di grazia? Non era stato concordato”.

Adriana Faranda. “Belve”, Loft produzioni mercoledì 14 alle 23,30, canale Nove – Discovery

 Un ritorno al passato per accettare il presente. È un confronto che viene spontaneo se si ascolta il racconto di Adriana Faranda, la brigatista rossa che partecipò al rapimento di Aldo Moro nel 1978, intervistata da Francesca Fagnani. Forse è difficile che se ne renda conto chi 40 anni fa era ancora un ragazzo. Non può non ricordarlo chi oggi ha i capelli grigi, e magari si lamenta di tutto e pensa di vivere nella peggiore Italia possibile.

No, dalla caduta del fascismo quello per il nostro Paese fu il periodo più buio: gli anni di piombo. Il quindicennio che va dalla strage di piazza Fontana del dicembre 1969 fino al 1984. Quando dopo centinaia di morti e un numero imprecisato di sopravvissuti, colpiti per sempre nel corpo e nell’anima, la falce del terrorismo (rosso e nero) cessò la mietitura di sangue, finalmente sconfitta dallo Stato.

 

Ci sentivamo in guerra”, dice la Faranda e infatti l’esercito di cui faceva parte scatenò una guerra totale che ogni giorno poteva colpire quando voleva, dove voleva e chi voleva. Successivamente, la rimozione della memoria fu anche favorita da chi aveva interesse a liquidare il terrorismo come la scelta folle di un gruppo tutto sommato ristretto di menti criminali. Non fu così. Ricorda l’ex brigatista che il 16 marzo del 1978, alla notizia del rapimento di Moro, molti brindarono nei bar. E c’è chi ha raccontato che quella stessa mattina da un gruppo di studenti in visita a Montecitorio si levò un applauso.

Le Br riscuotevano simpatie diffuse non solo nelle fabbriche o nelle università, ma nella pancia di una nazione che viveva il trentennio democristiano con insofferenza e disgusto. Un regime considerato irrimediabilmente corrotto, in una visione distruttiva che non risparmiava il Pci considerato complice dei “ladri” e artefice del tradimento della classe lavoratrice. È vero che lo sciopero generale indetto dopo la strage di via Fani mobilitò le masse ma non ha torto la “postina” delle Br nel ricordare che furono calcolati in 40mila i simpatizzanti e fiancheggiatori del terrorismo rosso.

Lo Stato vinse quando il delirio rivoluzionario affogò nel sangue che aveva sparso e nella sua stessa impotenza. Ma fu anche merito delle forze migliori di una politica che mise da parte inimicizie e sospetti per fare fronte comune contro il mostro. Era il tempo in cui il segretario comunista Enrico Berlinguer e quello missino Giorgio Almirante si incontravano in segreto per scambiarsi informazioni su chi all’estrema sinistra e all’estrema destra dei loro partiti cavalcava il terrore.

Lo rammentino coloro che oggi considerano la politica sempre una parolaccia. Capaci soltanto di vivere l’immediatezza della propria rabbia. Senza voler sapere nulla di ciò che siamo stati.

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