Rigore

Fiscal compact, la battaglia (quasi) impossibile del M5S per smontare l’austerità

Il trattato è stato ratificato nel 2012. Entro fine anno bisogna decidere se portarlo nell’ordinamento giuridico europeo. Ma la gestione della politica di bilancio si è ormai strutturata

5 Luglio 2017

Si può rivedere il Fiscal compact e così smontare i vincoli di austerità? Il convegno alla Camera di due giorni fa, ispirato dal Movimento 5 Stelle ma formalmente no-partisan, ha chiarito la nuova linea M5S sulle questioni europee. Che non è più il referendum per decidere l’uscita dall’euro ma si riassume nella frase di Davide Casaleggio: “Il tema che dovrà essere sul tavolo della discussione è il Fiscal compact che in autunno vedrà l’Italia ratificarlo o meno”.

Frase che ha fatto sollevare qualche sopracciglio, perché l’Italia ha già ratificato il trattato tra governi voluto dalla Germania nel 2012, con la legge 114 del 23 luglio di cinque anni fa. Il riferimento di Casaleggio è in realtà all’articolo 16 del trattato: “Al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente trattato, sulla base di una valutazione dell’esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull’Unione europea e del trattato sul funzionamento dell’Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea”.

I cinque anni scadono nel 2017. Il Fiscal compact è nato come ircocervo giuridico, che voleva rafforzare (in modo un po’ ridondante), la cosiddetta governance della zona euro appena approvata nel 2011. Quel combinato di regolamenti e direttive noti come six pack e two pack che sono alla base dell’austerità (e a cui il Fiscal compact rimanda, per esempio al regolamento Ue 1177/2011 “per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi”).

L’idea dei Cinque Stelle e di molti degli economisti che ne condividono le idee – da Marcello Minenna (Consob) a Paolo De Ioanna (consiglio di Stato) – è che il momento della discussione sul futuro del Fiscal compact è l’occasione per ripensarne radicalmente il contenuto. La leva negoziale dell’Italia sarebbe opporsi per impedire l’unanimità tra governi necessaria all’inserimento nei trattati europei del Fiscal compact. Con una posizione ferma, dicono gli economisti che ispirano il M5S, i partner dell’eurozona sarebbero costretti a concedere qualcosa. Per esempio a ripensare l’articolo 3, in base a cui il saldo strutturale annuo della pubblica amministrazione deve essere “pari all’obiettivo di medio termine specifico per il Paese, quale definito nel patto di Stabilità e crescita rivisto, con il limite inferiore di un disavanzo strutturale dello 0,5% del Pil ai prezzi di mercato”.

La gestione della politica di bilancio si è ormai strutturata quasi a prescindere dal Fiscal compact, i principi ribaditi nel trattato sono stati sempre derogati in un continuo negoziato tra singoli Stati (Italia in particolare) e Commissione europea. La perenne richiesta di flessibilità è culminata nella comunicazione del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan di fare nel 2018 un aggiustamento strutturale dello 0,3 invece dello 0,8 per cento concordato. Invece che modificare il metodo di calcolo – la formula dell’output gap, cioè quanto la crescita di un Paese è distante dal suo potenziale – la Commissione ha scelto un approccio discrezionale. Chi si comporta bene ha sconti.

Il dibattito sul Fiscal compact è molto italiano. A Bruxelles, già a febbraio, la discussione si è chiusa con l’approvazione nel Parlamento europeo di tre risoluzioni che indicano la linea dei gruppi di maggioranza all’inserimento del Fiscal compact nei trattati. Il rapporto Brok-Bresso (Mercedes Bresso, del Pd) prevede “l’integrazione delle disposizioni pertinenti del patto di bilancio (Fiscal compact) (…) sulla base di una valutazione globale dell’esperienza acquisita nell’ambito della sua attuazione”. I 5Stelle avrebbero voluto che non ci fossero automatismi: prima si valuta poi forse si decide, ma il Parlamento è andato in un’altra direzione. Proprio in quei giorni di febbraio, Matteo Renzi proponeva di rivedere il Fiscal compact. Mentre il suo partito votava il contrario. Nonostante questo, il trattato resterà uno dei temi della prossima campagna elettorale.

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