Il caso

Ferrovie, l’ultimo blitz renziano sulle poltrone: prorogato fino al 2020 il mandato di Mazzoncini e dei consiglieri

Con la scusa della fusione Fs-Anas il Tesoro rinnova l’ad Mazzoncini e il consiglio che sarebbero scaduti solo ad aprile 2018. L'ad, quando Renzi era sindaco di Firenze, ha completato la singolare “privatizzazione” dell’Ataf, ceduta allo Stato

30 Dicembre 2017

Quando le elezioni si avvicinano, di solito le nomine vengono congelate in attesa del nuovo governo, o al massimo prorogate per evitare il vuoto di potere. Questa volta no: il ministero del Tesoro conferisce le sue azioni di Anas, la società delle strade, alle Ferrovie dello Stato e ne approfitta per rinnovare tutto il consiglio di amministrazione che scadeva in aprile 2018 quando, in teoria, un nuovo governo ci sarà. Risultato: con le camere già sciolte e il governo Gentiloni in carica per gli affari correnti, Renato Mazzoncini incassa un nuovo mandato triennale come amministratore delegato delle Fs, fino al 2020, l’ad di Anas Gianni Armani e anche tutti i renziani del consiglio di amministrazione si assicurano un altro triennio ben remunerato.

Matteo Renzi ha avuto un rapporto tormentato con le Ferrovie: alle sue prime nomine, maggio 2014, congeda Mauro Moretti (che sposta a Finmeccanica, dove durerà un solo triennio) e nomina come presidente Marcello Messori e come ad Michele Elia. I due hanno il compito di portare in Borsa le Ferrovie ma seguono due linee opposte e incompatibili. Meno di un anno dopo, a novembre 2015, vengono silurati entrambi, se ne vanno con tutto il cda. E Renzi sceglie il suo uomo: Renato Mazzoncini che con Renzi sindaco di Firenze aveva completato la singolare “privatizzazione” dell’Ataf, l’azienda dei trasporti del Comune ceduta allo Stato, cioè alle Fs. Mazzoncini fin da subito ci tiene a ribadire la sua indipendenza dalla politica e la competenza tecnica (maturata soprattutto nel trasporto su gomma). Le polemiche sull’eccesso di renzismo accompagnano comunque tutto il suo mandato: dai 2,2 milioni di euro per il bus navetta dalla stazione all’outlet toscano The Mall per il quale si erano spesi imprenditori renziani e Tiziano Renzi, padre di Matteo, fino alle dichiarazioni sul ponte sullo stretto di Messina “strategico e utile” (un messaggio molto renziano soprattutto nella campagna per il referendum 2016).

Nel cda che viene rinnovato siedono altri renziani storici. C’è Federico Lovadina, avvocato, socio dello studio BL con Francesco Bonifazi (tesoriere e deputato del Pd) ed Emanuele Boschi, fratello del sottosegretario Maria Elena. Simonetta Giordani è stata sottosegretario nel governo Letta, oltre che manager del gruppo Autostrade, ma dalle prime Leopolde renziane c’è passata pure lei. E la presidente Gioia Ghezzi, che sarà confermata, nel 2011 ha collaborato con il Comune di Firenze guidato da Renzi per una proposta di legge sull’omicidio stradale (all’epoca la Ghezzi lavorava per McKinsey, società di consulenza). Tra le novità nel cda c’è Francesca Moraci, che arriva proprio dall’Anas, ora incorporata nel gruppo Fs. Docente di pianificazione e progettazione urbanistica all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, anche la Moraci ha incrociato Renzi nella sua vita professionale recente: nel 2015 l’allora premier l’ha inserita nel gruppo di esperti incaricati di elaborare il piano strategico nazionale dei porti e della logistica. Una poltrona pure all’ex rettore del Politecnico di Milano, Giovanni Azzone, un curriculum sterminato in cui compare anche l’incarico ricevuto nel 2016, project manager del progetto “Casa Italia” di ricostruzione delle zone terremotate. Un progetto che all’epoca era una delle priorità di Renzi, ancora presidente del Consiglio.

Il 29 aprile 2016 il governo Renzi rinnovava i vertici di molti apparati di sicurezza, dai servizi segreti alla guardia di Finanza. “Abbiamo da fare le nomine per solo due anni perché siamo persone serie e nel 2018 si voterà per eleggere un nuovo governo che potrà rinnovare gli incarichi. Noi pensiamo di vincere ma poiché siamo seri abbiamo dato un termine di due anni”. Poi Renzi deve aver cambiato idea. O il premier in carica Paolo Gentiloni forse la pensa diversamente: in queste settimane ha fatto tutte le nomine possibili senza rimandare nulla a dopo il voto, per dare un messaggio di stabilità. Nessuno dei vertici scelti direttamente da Gentiloni è renziano. Le Ferrovie sono l’eccezione, l’ultima quota che spetta ancora al segretario Pd.

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