Casamonica a Roma, così si salvano i clan nella città che non vede la mafia

8 Maggio 2018

Perché i criminali (non tutti i membri della famiglia ovviamente ma solo i delinquenti) appartenenti aiclan dei Casamonica, Di Silvio e Spada continuano ad imperversare dall’Anagnina a Ostia? Perché ci sono solo film e serie tv ma nessuna sentenza sulla mafiosità del clan?

Queste sono le domande poste dalle immagini pubblicate ieri su Repubblica del vile pestaggio ai danni di una donna disabile e coraggiosa e di un barista rumeno che ha avuto la forza di denunciare.

 

Era già successo con la testata di Roberto Spada ai danni del collega di Nemo Daniele Piervincenzi e con il celebre funerale in stile ‘padrino’ di Vittorio Casamonica del 2015.

Per rispondere bisogna tornare indietro alla sentenza del luglio 2017 che ha escluso l’associazione a delinquere di stampo mafioso per la (ex) Mafia Capitale.

L’avvocato di Massimo Carminati, Bruno Giosué Naso, commentò che i protagonisti del processo “erano solo quattro cazzari” e che la sentenza era “una sconfitta del procuratore di Roma Giuseppe Pignatone”. Nel 2012 L’espresso pubblicò una copertina che ha fatto storia: I quattro re di Roma. L’inchiesta di Lirio Abbate individuava i quattro capi della criminalità romana in Massimo Carminati, Giuseppe Casamonica, Carmine Fasciani e Michele Senese. L’avvocato Naso dopo l’esclusione da parte della Corte di Appello dell’esistenza di un’associazione mafiosa capeggiata dal boss di Ostia Carmine Fasciani nel 2016 (pronuncia poi rimessa in discussione dalla Cassazione) dichiarò che quella sentenza era l’ennesima conferma della sua linea: “Il processo Casamonica si è concluso con l’esclusione del reato associativo, asserendo l’esistenza di un gruppo dedito al piccolo spaccio di borgata senza alcun controllo del territorio; nel processo sull’omicidio Senese è stata esclusa l’aggravante dell’articolo 7 (cioè quella mafiosa, ndr); ora nel processo Fasciani si esclude l’associazione di stampo mafioso. Rimane solo Massimo Carminati”.

Naso era stato buon profeta. Il punto è che le conseguenze pratiche della linea interpretativa che piace a Naso non sono indifferenti. La prima conseguenza è nei requisiti chiesti per arrestare. Ai criminali comuni si applica il principio di adeguatezza, secondo il quale il carcere è solo l’extrema ratio. Il giudice deve motivare la ragione per la quale non può fare a meno di arrestare. Mentre per i mafiosi la custodia cautelare è obbligatoria.

L’altra grande conseguenza è la possibilità di applicare le misure di prevenzione personali e patrimoniali. A un criminale ‘mafioso’ (anche se non è stato condannato nel merito) si può limitare la libertà personale in presenza di indizi di mafiosità e pericolosità sociale e i giudici possono anche sequestrargli il patrimonio.

L’associazione mafiosa non è mai stata contestata ai Casamonica perché anche tra i pm è finora prevalso l’orientamento garantista che ritiene di non scomodare l’armamentario dell’antimafia per un clan che si dedica a reati e affari considerati ‘minori’.

A favore dei Casamonica hanno giocato poi due fattori. La loro grande esposizione mediatica ha funzionato come un’esimente di mafiosità. Sulla base del pregiudizio, sbagliato nell’era dei social, che un mafioso vero non minaccia su Facebook la sua vittima.

Inoltre i Casamonica hanno sempre evitato di ricorrere alle armi. Preferiscono le mani che sanno usare molto bene. Talvolta qualcuno è arrivato a sequestrare la sua vittima per ottenere il pagamento preteso ma raramente spunta una pistola.

La forza fisica usata con astuzia e la grande visibilità mediatica, favorita dai film e dalle fiction come Suburra, ha garantito ai Casamonica una capacità di intimidazione allo stesso tempo visibile e invisibile. Certamente efficace. Se il barista romeno non avesse sfidato la famiglia con una denuncia, oggi cosa sapremmo dei due autori del pestaggio? Nulla. E il potere del clan sarebbe aumentato.

La questione dell’esistenza di un’associazione mafiosa è ovviamente rimessa al giudizio delle Corti. E, in assenza di una sentenza in tal senso, i Casamonica non sono mafia.

Certo è che nel caso di Carminati la Procura ha investito per anni molte risorse impiegando molti uomini di alta qualità e le tecniche di intercettazione più sofisticate e costose. Sui Casamonica un simile investimento non sembra esserci stato. E la sentenza di primo grado su Mafia Capitale certo non aiuta.

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