Governo, doveva cambiare tutto e invece arieccoci: nada cambia

3 Maggio 2018

Ricordate le elezioni del 4 marzo? M5S primo partito con oltre il 32% dei voti, centrodestra prima coalizione, con boom della Lega sopra Forza Italia, tracollo del Pd, al minimo storico con milioni di voti persi per strada. Todo cambia. Di Maio e Salvini appaiono i leader del futuro, Berlusconi e Renzi ormai finiti: vecchio e giovane leone (nel senso di predatori), separati solo dall’anagrafe e dai tempi di caccia (20 anni l’uno, una stagione l’altro), accomunati nel tramonto. Loro, che avevano fatto fiorire il Rosatellum per potersi lanciare il bouquet dopo il voto, saranno solo testimoni – si pensava – portando gli anelli nuziali a Gigi e Matteo. Clic.

Riaccendiamo la luce a 2 mesi dal voto: nessun governo e M5S in difficoltà, come testimonia il calo in sondaggi e Regionali. Chi, avendo vinto, poteva/doveva – come la ragazza più bella della festa – dettare le sue condizioni vedendo chi ci stava, s’è messo a inseguire quelli che dovevano corteggiarlo, sballottando il suo elettorato tra prospettive distanti anni luce, dal governo con la Lega a quello col Pd. Con conseguente altalena di emozioni da sindrome bipolare.

Acciaccato Di Maio, ma non Salvini. Sdoganato come statista dalla mejo sinistra dei Cesaroni (la Lega è pur sempre sistema politico noto, non costringe a fare i conti con i propri fallimenti e anzi, riconoscerle dei meriti pur nell’alterità fa tanto provocatorio e anarcoide), l’uomo “di ghisa” prima ha scippato il ghe pensi mi berlusconiano poi, quando ha capito che non quagliava, che il decisionismo del “governo in 15 minuti” stava pure venendo a noia nella sua inconcludenza, soprattutto quando ha focalizzato che B. poteva pure farlo uscire a bere una birra, ma poi doveva tornare a casa se no erano guai, è tornato ad Arcore. Meglio essere primo in coalizione che secondo tra partiti, soprattutto meglio un crodino oggi della cicuta domani. Già perché B., dato per morto, si conferma imperituro e nonostante condanna e decadenza, nonostante la sentenza su Dell’Utri sulla trattativa Stato-mafia, nonostante dica tutto e il contrario di tutto – “I 5S non conoscono l’abc della democrazia”; “Mai posto veti ai 5S”; “Sono un pericolo, meglio il Pd”; “Mai detto meglio il Pd”… – continua a essere, complice l’informazione dominante, un “responsabile” e “moderato”, che può evocare Hitler per i grillini, ma guai a dargli del “male assoluto”. Altro che “7 vite come i gatti”, ormai il proverbio è “20 vite come Berlusconi”!

Infine Matteo Renzi da Rignano, col suo cha cha cha dei finti passi indietro (per ognuno ce ne sono due in avanti). Ha lasciato credere ai dem di essere liberi, così si sono agitati – chi a favore dell’accordo coi 5S, chi “andiamo a vedere le carte”, chi “mai con loro” – e poi, da ex (leader, segretario, premier) e attuale “senatore semplice” di Scandicci, è andato nella “sua” Rai a dettare la linea: sì a incontrare Di Maio in streaming, ma nessuna fiducia (“Sediamoci al tavolo e bocciamo il governo”, ha riassunto Orfini, confermando che anche un orologio rotto due volte al giorno segna l’ora esatta).

Affossata la Direzione in 15 minuti tv (altro che Salvini), l’ex-tutto ora senatore ha anche indicato il futuro: un bel governo per le riforme.

Arieccoci. Nada cambia.

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