L’ANNO ZERO DELLE SCUOLE

“La scuola dovrebbe essere una priorità per il futuro, ma è stata dimenticata”. Se c’è un caso emblematico della lentezza della ricostruzione pubblica, all’Aquila, è quello delle scuole. Nonostante le promesse e i soldi erogati, gli studenti sono ancora nei Musp (Moduli ad Uso Scolastico Provvisori), in periferia. Nessuna delle scuole del centro è tornata agibile. Per tutte vale il caso del Cotugno, inizialmente fatto rientrare in un edificio ‘vero’. A seguito di una richiesta di accesso agli atti di alcuni genitori e insegnanti si è rivelato essere inagibile. Sfrattati per una seconda volta, dopo un periodo di ’scuola pomeridiana’ ospiti di altri istituti, hanno finalmente ri-ottenuto un Musp, anzi cinque, in parti opposte della città. “È un odissea che sembra non finire mai – spiega la dirigente scolastica Serenella Ottaviano – le scuole hanno lavorato tantissimo per mantenere la comunità e offrire il massimo dell’offerta formativa possibile, eppure a 30 chilometri da qui sembrano essersi dimenticati di noi”.

TOMMASO, CRESCIUTO CON LE MACERIE – “Si è sviluppato anche un senso politico tra i ragazzi in questi anni”. Del Cotugno Tommaso Cotellessa è il combattivo rappresentante di istituto. Diciotto anni, penultimo anno di liceo e una storia esemplare della capacità di resilienza e visione dei giovani aquilani ‘nativi del terremoto’. Quella tragica notte Tommaso aveva 8 anni, dopo le prime scosse aveva cercato riparo tra le coperte dei suoi genitori. Si è salvato assieme a tutta la sua famiglia. Tanti ragazzi che oggi avrebbero la sua età oggi non ci sono più, e chi è rimasto ne sente tutta la responsabilità. “È vero, L’Aquila non sarà più la stessa, ed è per questo motivo che molti hanno deciso di andarsene. Ma per chi è cresciuto tra le macerie è diverso, è una questione di appartenenza e comunità. Paradossalmente la sfiducia totale nelle istituzioni ha prodotto in molti di noi ‘nativi’ del terremoto a una maggiore voglia di fare politica, intesa come impegno per la comunità: non vogliamo perdere l’occasione di contribuire alla rinascita di una città migliore”.

Dopo anni in giro tra soluzioni abitative temporanee, Tommaso è tornato nella sua casa: “A crescere così ci si sente come profughi, e con loro si condivide la sensazione di essere ‘ultimi’, ma anche la stessa ‘fame’ di un futuro migliore”. Crescere maturando la capacità di adattamento sembra aver reso immuni questi ragazzi dalla propaganda: “Abbiamo capito il vero senso della politica osservando proprio le lacune istituzionali: chi resta indietro deve mettersi assieme e rimboccarsi le maniche, ed è quello che in tanti vogliamo fare per ricostruire il tessuto sociale della città, rimasto sepolto sotto le macerie”.

(Immagini d’archivio: Diodato Salvatore)

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