GIUSTINO E LA SUA ONNA

I condomini rinati, i borghi storici dimenticati. Avvertivi una violenza, dieci anni fa, camminando tra le case squarciate. Vedendo le stanze aperte agli sguardi di tutti, denudate. Onna, Paganica, Tempera, Arischia erano diventati il simbolo. Le immagini sulle tv di tutto il mondo ritraevano rovine e soccorsi, l’Italia che crolla, ma reagisce. Sa essere grande dopo il dolore. Oggi per tornare bisogna attraversare i quartieri nuovi, squadrati di prefabbricati, segnati da strade con nomi che ricordano quei giorni: “Via del Volontariato”. Poi qualche casa ricostruita e deserta. Ed eccoti nella piazza: a destra la chiesa perfettamente ristrutturata grazie all’aiuto dei tedeschi (proprio accanto alla lapide che ricorda un massacro nazista) e a sinistra le rovine. Sì, proprio come il 6 aprile. È un deserto, Pompei ti verrebbe da dire vagando tra le case e trovando ancora i bicchieri riposti negli scaffali delle cucine senza muri. Nessun rumore, nessuna voce a parte quella di Giustino Parisse. È ancora lì, testimone e custode del paese, dell’esistenza che sembra costretto a vivere, ma non c’è più: “Vedi quell’albero – ti dice indicando un brandello di casa spaccata a metà – lì c’era il mio mondo”. C’è un vuoto adesso dove dormivano i suoi figli. E non serve a niente provare a dirgli che non è colpa sua se quella notte, rassicurato dalle parole delle autorità, li aveva lasciati a dormire nella loro camera. Onna – come Paganica o Tempera – non c’è più: “Soltanto una famiglia su settanta è tornata”.

GIUSTINO E LA SUA ONNA