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Armi&soldi. La guerra ibrida esiste, ma il vero bersaglio siamo tutti noi

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In qualità di rane nella pentola, quali siamo tutti, cominciamo a sentire che la temperatura dell’acqua si alza piuttosto velocemente, che ci sono divise dappertutto, che la retorica bellica è ai massimi storici e abbiamo il sospetto che noi rane non dobbiamo solo essere lessate per bene, ma anche istruite, educate e idealmente abituate all’idea della guerra.

Piano piano, mattoncino dopo mattoncino, si costruisce la caserma, in un’architettura di menzogne, orpelli ideologici (molto semplici, peraltro: noi buoni, gli altri cattivi), dichiarazioni, intenti programmatici e annunci volitivi. La retorica della difesa è ormai stravolta, non solo dall’uso paraculum del famoso motto latino tanto caro agli azionisti di Leonardo (si vis pacem fai il granum con le armi), ma anche e soprattutto dal concetto di “attacco preventivo” rilanciato dall’ammiraglio Dragone. In soldoni, è quello che dicono i teppisti di strada: “Chi picchia per primo picchia due volte”, con la differenza che i teppisti di strada non hanno grandi industrie che campano producendo coltelli e tirapugni, mentre i generali Nato sì, e ciò li rende pericolosi a sé (e chissenefrega) e agli altri, cioè noi (e questo sì, è un problema).

L’effetto accumulo è abbastanza spaventoso, dal ministro delle armi Crosetto che parla di leva volontaria (traduco: una milizia), all’ammiraglio che vuole passare all’attacco chiamandolo “difesa”, ai questionari distribuiti agli studenti (“E tu ti arruoleresti?”), agli ufficiali che vogliono un corso di Filosofia tutto per sé all’Università, alle fiere di armi a cui vengono portati in visita i ragazzini delle scuole, ai piccoli inconsapevoli Balilla che gridano Giorgia-Giorgia alla presidente del Consiglio che sale su un aereo da caccia. Fino all’accrocchio un po’ estemporaneo della “guerra ibrida”, che punta a un controllo delle opinioni non allineate: se sei critico su guerra e riarmo vuol dire che stai col nemico, quindi sei filo-russo, o filo-Hamas, e quindi ti zittisco legittimamente.

Si aggiungano quei bei servizi televisivi su aerei, droni, sistemi di puntamento, tecnologie militari di cui si parla come se fossero l’ultimo modello di fuoriserie, con l’orgoglio che traspare dalle veline dei costruttori, molto ricchi e quindi molto capaci di orientare l’informazione (la guerra ibrida c’è, ed è contro di noi). E del resto, follow the money, come sempre, segui i soldi, per esempio quei 679 miliardi di dollari di ricavi globali dell’industria degli armamenti registrati nel 2024 (report Sipri), con gli Stati Uniti campioni d’incasso, ovvio, e l’Europa in grande spolvero (la locomotiva tedesca la traina un carrarmato, per dire).

Too big to fail, si diceva una volta dei grandi comparti economici: troppo grandi per fallire, ed eccoci all’oggi. La crisi del mercato dell’auto risolta con la riconversione bellica, i fenomenali rendimenti delle aziende di morte quotate in Borsa, i reparti ricerca & sviluppo bisognosi di cavie umane (compito riservato ai civili palestinesi), l’intelligenza artificiale applicata alla guerra.

Il mondo non è pronto per lo scoppio della bolla macroeconomica di simili dimensioni, e se l’economia planetaria è economia di guerra, va bene, avremo la guerra per il semplice fatto che conviene ai padroni dell’economia mondiale, che permette a un sistema che non funziona di tirare avanti con l’unico metodo che conosce: quello del rilancio senza limiti, dell’all in sul tavolo da poker. Dove le fiches sacrificabili siamo noi rane. Caldo, eh?

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