Altro che filo Hamas: Mamdani fa paura per il suo programma
È divertentissimo vedere quanto li fa incazzare il fatto che un giovane uomo di 34 anni, musulmano e che si definisce socialista, stia per diventare sindaco di New York, culla del capitale e del capitalismo finanziario mondiale. Gli infuriati sono i reazionari di tutto l’orbe terracqueo, come direbbe Giorgia nostra. Succede che a giugno Zohran Mamdani ha vinto – sorprendendo tutti – le primarie democratiche contro Andrew Cuomo, ex governatore che si era dimesso a causa di una serie di accuse di molestie sessuali, per il municipio della Grande Mela. Nelle elezioni di martedì prossimo il giovane Zohran se la vedrà contro Cuomo, che si candida come indipendente, e il repubblicano Curtis Sliwa. La sua corsa non si è fermata tanto che, come si può leggere sul New York Times, gli ultimi sondaggi lo danno in vantaggio di minimo dieci punti (secondo quello di Beacon Research addirittura di 24 punti).
Sua madre è la regista indiana Mira Nair (Leone d’oro a Venezia nel 2001 con Matrimonio indiano, ha firmato molti titoli famosissimi come Vanity Fair, Salaam Bombay! e Mississippi Masala), suo padre si chiama Mahmood ed è uno studioso ugandese della Columbia University: gli rinfacciano pure la famiglia, dandogli del “figlio di papà”. Le accuse più invelenite riguardano il presunto antisemitismo in una delle città più importanti della diaspora ebraica. Con enorme sprezzo del ridicolo, Mario Sechi su Libero spiega che è in corso una “saldatura tra l’ideologia socialista e l’islamismo” e tra gli esempi cita anche l’America, dove la saldatura “galoppa con la possibile elezione a sindaco di New York di Zohran Mamdani (la città dell’11 settembre potrebbe finire nelle mani di un filo-islamista che non risponde alle domande su Hamas)”. In realtà un mese fa alla Abc Mamdani ha risposto con estrema chiarezza: condanna Hamas, sta dalla parte del diritto internazionale, è contro il genocidio. La cosa non va giù a Giuliano Ferrara che sul Foglio gli dà del “manipolatore eccellente, uno che sa prendere le distanze da sé stesso e dalle sue smargiassate paraislamiste e antisioniste e confinanti con l’antisemitismo”.
Ma la vera questione, il motivo per cui lo temono, è un’altra. L’élite economica di New York detesta Mamdani: “Negli ultimi cinquant’anni nessun candidato a sindaco ha vinto con così poco sostegno di immobiliaristi, banchieri e dirigenti del mondo tecnologico, cioè quelli che, da dietro le quinte, hanno spesso indirizzato le scelte politiche della città”, nota Ross Barkan, in un pezzo per The New Statesman riportato nell’ultimo numero di Internazionale . Quel che li terrorizza è che “il 34enne islamico minaccia affitti congelati, autobus gratis e tasse ai ricchi” (catenaccio di Libero). Sono le “bellurie sociali” – così Ferrara – il centro di tutto: Mamdani vuole che “una città in cui una persona su cinque non può permettersi il biglietto della metro”, come ha spiegato lui, torni a essere per tutti. Come? Alzando a 30 dollari il salario minimo e le tasse ai miliardari.
Il suo programma non ha nulla di ideologico e tutto di pratico: la stima dei costi è 7 miliardi di dollari all’anno, coperti con un aumento delle entrate fiscali per 9 miliardi, ottenuto alzando all’11,5% le tasse per le aziende e aumentando del 2% le imposte per chi guadagna oltre 1 milione di dollari all’anno. Inaudito, nel Paese di Trump (che ha già minacciato di arrestarlo) e più modestamente anche qui, dove i giornali s’inventano la futura leader riformista Silvia Salis, inneggiando a Pina Picierno superstar della corrente dei moderati dem (sic).
Elly Schlein, più che preoccuparsi dell’inesistente Salis, dovrebbe guardare a Mamdani: meno allarmi democratici, più affitti calmierati.