Siti contaminati, il governo non fa nulla per la bonifica
I dati sono veramente impressionanti. Secondo l’ultimo rapporto Ispra (Istituto per la protezione dell’ambiente), i siti contaminati da rifiuti e oggetto di bonifica a livello nazionale sono quasi 37 mila. Si tratta di 148.598 ettari di territorio di cui solo il 24% del suolo è stato caratterizzato e appena il 6% è stato bonificato, mentre per le falde la percentuale è solo del 2%. Con una media di soli 11 ettari bonificati all’anno, si stima che per completare le bonifiche potrebbero volerci almeno 60 anni, cioè fino al 2085 e che sarebbero necessari almeno 10 miliardi di euro.
Più in particolare, i siti interessati da procedimenti di bonifica a livello nazionale sono quasi 37 mila, e di molti di essi ancora non è noto lo stato di contaminazione, e pertanto non può iniziare la bonifica: dei 17.340 siti che hanno un procedimento in corso, 10.326 (60,9%) sono addirittura nella fase iniziale di notifica.
Siamo, quindi, in grave ritardo, con rischi notevoli per la salute pubblica in quanto i siti contaminati costituiscono un potenziale rischio per l’ambiente e per la popolazione che vive nei dintorni.
La responsabilità per la bonifica ricade, per legge, sulle Regioni e sugli Enti locali, salvo per 42 siti di interesse nazionale che sono di competenza del ministero dell’Ambiente. E anche se, in teoria, le bonifiche dovrebbero essere effettuate da chi ha prodotto l’inquinamento, ciò non avviene quasi mai, anche perché molto spesso si tratta di aree inquinate da attività svolte da imprese non più operanti o addirittura fallite. E allora l’onere degli interventi di bonifica anche molto costosi ricade sull’Amministrazione pubblica, che ha, per questo, a disposizione solo 500 milioni.
Quanto alla distribuzione territoriale, il rapporto evidenzia che i procedimenti di bonifica in corso sono maggiormente concentrati nelle regioni Campania e Lombardia nei cui territori esistono più di un terzo dei procedimenti in corso nazionali (precisamente il 35%); ma una percentuale rilevante di questi procedimenti (12% e 10%) è presente anche in Toscana e Veneto.
E proprio per questo appare incomprensibile che, nel recentissimo decreto legge n. 116 dell’8 agosto 2025, attualmente in fase di conversione, relativo, appunto, anche alla “bonifica dell’area denominata Terra dei fuochi” in Campania, si intervenga pesantemente per aggravare le ipotesi di reato connesse ai rifiuti, ma non si dica nulla per velocizzare e snellire le procedure per le bonifiche, né per la Terra dei fuochi né a livello nazionale. Certo, resta sempre la reclusione da uno a quattro anni e la multa da 20.000 a 80.000 euro per chi, essendone obbligato, non provvede alla bonifica, al ripristino o al recupero dello stato dei luoghi, ma come abbiamo visto, i ritardi procedimentali e gli omessi controlli sono tali da rendere questa sanzione solo teorica, come del resto riconosciuto anche a livello comunitario.
Infatti, e sempre per la Terra dei fuochi, la Corte europea dei Diritti dell’uomo, nella sentenza Cannavacciuolo del 2025, evidenzia che nel 2019, per circa il 70% dei siti della Regione Campania censiti come bisognosi di bonifica non era stata avviata alcuna procedura e che, all’epoca della sua elaborazione, le attività di bonifica erano state concluse soltanto nel 3% dei siti, sottolineando che “ritiene difficile ottenere una chiara percezione degli sforzi di bonifica previsti nei comuni interessati dal fenomeno della Terra dei fuochi, in particolare in ordine all’inquinamento che ne è derivato e alle misure concrete adottate per attuarli”; rilevando contestualmente la farraginosità e l’inadeguatezza della normativa di settore.