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Venezia: il cinema racconta l’attualità meglio della Tv

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Cinema contro televisione: nel raccontare la realtà oggi ha vinto, e di gran lunga, forse paradossalmente, proprio il primo. È il messaggio che ci viene dalla 82esima Mostra del cinema di Venezia, soprattutto con due film dal grande impatto emotivo e politico su due grandi questioni dell’umanità: l’incubo nucleare e Gaza. I due grandi temi dell’epoca attuale, che pure la tv ci racconta quotidianamente con immagini, parole e modalità alle quali però ci siamo come assuefatti: quasi un vaccino, somministrato giorno per giorno in dosi che neutralizzano ogni reazione.

Temi che nelle giornate veneziane sono emersi con forza inedita in due straordinari film, bellissimi: House of dynamite di Kathryn Bigelow (che certo meritava un premio) e The voice of Hind Rajab di Ben Hania. Due pellicole che, con l’energia che sa sprigionare il cinema di impegno civile quando prodotto da mani sapienti, ci hanno detto meglio di qualsiasi notiziario di telegiornale, meglio di qualsiasi programma d’informazione televisivo, meglio di qualsiasi documentario trasmesso a notte fonda, quali siano i pericoli cui l’umanità rischia di andare incontro se non lavora sul serio per la pace e quale inferno di violenza si stia consumando nel girone di Gaza. Non era facile riuscirci. Né in un caso né nell’altro.

Perché sul rischio nucleare di film ce n’erano stati tanti, anche fantascientifici, ma quello che la prima donna regista vincitrice di Oscar ha regalato a Venezia possiede la dote di una grande potenza evocativa: è quanto mai realistico, dettagliato e coinvolgente (e non solo per una questione di adrenalina) come raramente mi era capitato di vedere in un film del genere. Perdipiù la cura maniacale per i particolari della catena di comando militare e politica in un ipotetico attacco nucleare agli Usa, fa respirare davvero l’aria della Situation Room come all’epoca della crisi cubana. Più che soffermarsi sulle devastazioni più o meno spettacolari del ‘dopo’, la regista mette in scena con rara efficacia le dinamiche mentali, analitiche, reattive che si accenderebbero ‘prima’. Con ciò facendoci sentire più sgomenti.

Non era scontato nemmeno fare di un documento drammatico come la registrazione della voce della povera Hind, uccisa a cinque anni insieme alla famiglia degli zii a Gaza, un film formidabile, che ti incolla allo schermo anche se sai già come andrà a finire: teso, mai monocorde, dove rabbia e pietà, sdegno e senso di umanità convivono senza farsi del male. E forse, insieme al film di Hania, la manifestazione per le strade del Lido e la missione della Global Flotilla di questi giorni, hanno squarciato gli ultimi veli di ipocrisia su quanto sta accadendo in Palestina. Così come è un bene che il film della Bigelow esca anche nei cinema (a ottobre) oltreché su Netflix, per parlare a una ancora più grande platea del rischio che corre l’umanità se non sarà capace di volere la pace, sotto tutte le latitudini, mettendo fine ai terribili giochi di guerra (altro titolo cinematografico). Oggi che, come dice la regista, si è chiusa l’era della deterrenza e il tabù nucleare è crollato, mentre si apre un’era di indicibile incertezza.

Mai come ora, insomma, possiamo dire che il cinema è vivo. E dunque viva il cinema, soprattutto quando, con i suoi film e i suoi artisti, sa raccontare la realtà come nessun altro medium ha oggi la forza, o la capacità, o la voglia di fare. Men che meno la televisione contemporanea. Non questa televisione almeno. Di quella nazionale, poi, cosa dire, col suo tristo giornalismo che si accontenta di trasmettere veline e promo autoprodotti, abdicando al proprio mestiere e alla propria storia? Con le dovute eccezioni, è bene sempre precisarlo. Che però si fanno sempre più rare.

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