Gaza, la regista di La voce di Hind Rajab: “Ho inquadrato un’umanità senza aiuto né voce”
Venezia. “Un sentimento di profonda, tremenda impotenza: c’è una persona in pericolo e noi non riusciamo a fare nulla. Questo film inquadra una umanità rimasta senza aiuto”. La voce di Hind Rajab (The voice of Hind Rajab, ndr) arriva da Gaza a Venezia, e dinanzi agli spettatori che escono dalla proiezione fa chiedere a un bambino: “Mamma, perché piangono tutti?”.
Ventiquattro minuti di applausi in Sala Grande, standing ovation in conferenza stampa, lacrime ovunque, come raramente nella ottuagenaria storia della Mostra del Cinema: la tragedia palestinese echeggia nella commozione diffusa, le ultime parole di Hind Rajab rinvengono nella preziosa sinestesia del cinema, allorché Kaouther ben Hania porta sullo schermo la chiamata d’emergenza – l’audio è autentico – alla Mezzaluna Rossa della cinquenne gazawa intrappolata in un’auto sotto attacco israeliano il 29 gennaio 2024, e chissà che sabato non arrivi il Leone d’Oro.
Mettendo in scena la ricostruzione della mattanza di Hind, cinque familiari e due paramedici, la regista tunisina ha riflettuto sull’opportunità di doppiare la piccola, ma “avevo la sensazione che sebbene si rivolgesse agli operatori della Red Crescent, fosse a me che diceva ‘salvami, salvami!’, e che dunque dovevo mantenere le registrazioni originali per non tradirla. A Hind è stata tolta la voce, Gaza si sta cercando di silenziarla: mediaticamente, le vittime vengono considerate danni collaterali, e lo trovo così deumanizzante”.
Nell’impasto di finzione e documentario, nel ricorso alle testimonianze degli operatori e nell’appoggio sugli accertamenti giornalistici (Washington Post), emerge attraverso le stesse parole di Hind la presenza sul posto di tank israeliani, a lungo negata dall’Idf: “Il mio lavoro non è investigativo, non sono un magistrato, quale filmmaker mi adopero a costruire uno strumento empatico per capire che cosa effettivamente succeda a queste persone. Anche perché ai giornalisti è impedito di andare, i reporter locali vengono uccisi: è in corso una guerra contro la verità”.
Laddove il collega americano Julian Schnabel, che li ha diretti in The Hand of Dante, asserisce “non c’è nessuna ragione per boicottare artisti” quali Gal Gadot e Gerald Butler, Ben Hania osserva come l’attrice “supporti platealmente l’esercito e il regime israeliano, ma non c’è stato boicottaggio, è lei che non è voluta venire a Venezia”. Rispetto a un possibile, per quanto improbabile, approdo del film a Tel Aviv puntualizza: “Io non accetto che i miei film vengano distribuiti in Israele. Avevo ricevuto un invito per il mio precedente Four Daughters (2023), ma lo trovo incompatibile con la mia natura di attivista politica”. Eppure, Ben Hania non ragiona a senso unico, ritiene che “gli oppositori interni del governo di Netanyahu siano in una posizione non facile: oggi per i cittadini israeliani è estremamente coraggioso esprimersi contro il genocidio dei palestinesi”.
E sul fronte americano? È Hollywood contro Trump. Da un lato, Brad Pitt ha co-prodotto The voice of Hind Rajab con la sua Plan B, e Joaquin Phoenix, presente al Lido, Rooney Mara, Alfonso Cuarón e Jonathan Glazer (il regista ebreo britannico premio Oscar per La zona d’interesse, incentrato sulla Shoah) si sono prestati quali produttori esecutivi; dall’altro, il presidente ha avallato il progetto di sfollare i palestinesi e trasformare Gaza in una Riviera per ricchi. Opzione che non lascia indifferente la cineasta originaria di Sidi Bouzid: “Nel finale mostro la spiaggia. È una scelta nata da un’informazione fondamentale, che mi ha dato la madre: Hind amava il mare. Quando penso a lei che gioca sulla battigia, e poi alla Gaza Riviera di Trump mi dico: ma in che mondo viviamo?”.
Che fare? “Credo che la giustizia un giorno non sarà solo simbolica. Non ne abbiamo abbastanza di questo genocidio? Anche se tutto si fermasse oggi, sarebbe comunque troppo. Vorrei giustizia per Hind e per tutti i palestinesi, ma – conclude Ben Hania – siamo ancora lontani”.
@fpontiggia1