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Campagna social di Israele contro il “Fatto” per la foto di Osama al-Raqab: “Antisemiti”

Post delle ambasciate di Tel Aviv nel mondo per gridare all’errore che non c’è
Campagna social di Israele contro il “Fatto” per la foto di Osama al-Raqab: “Antisemiti”
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La prima pagina del Fatto del 24 luglio è diventata un trend sui social. Il merito è del ministero degli Esteri israeliano, che ieri l’ha ricondivisa non certo per lodarla, seguito da una lunga lista di account di ambasciate di Israele nel mondo (tra i bot): Francia, Spagna, Lettonia, Repubblica Ceca, Danimarca, Cile, Uruguay, Colombia, Armenia perfino. Una campagna organizzata, un messaggio che si ripete uguale nelle diverse lingue e dice una cosa sola: questa foto è una menzogna, Israele non affama i bambini e chi lo sostiene è antisemita.

Il caso è, ancora, quello di Osama al-Raqab, il bimbo di Gaza immortalato scheletrico, a maggio, in un reportage fotografico dell’agenzia Associated Press, ripreso da numerosi media internazionali e, la settimana scorsa, pure sul Fatto, per denunciare l’aumento esponenziale dei morti per fame a Gaza, dovuto a mesi di blocco degli aiuti umanitari in un conflitto lungo 22 mesi che ha ucciso quasi 60 mila persone, costretto due milioni a vari spostamenti forzati, raso al suolo tre quarti degli edifici e azzerato le infrastrutture. Un conflitto che in molti, qualcuno anche in Israele, cominciano a definire genocida.

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“Un bambino malato. Una foto rubata. Una bugia che si diffonde più velocemente della verità”, sentenzia il post “matrice” del ministero israeliano. Anche il dipartimento di logistica dell’Idf, il Cogat, ha fatto un post simile senza menzionare però il Fatto. Segue un racconto noto: Osama al-Raqab ha la fibrosi cistica, malattia genetica grave, ed è in Italia per cure dal 12 giugno. “Israele ha permesso il suo trasferimento” (ma è la Farnesina ad averlo incluso in un volo umanitario) – continua il post – ma questo non ha impedito di diffamare Israele. L’odio trova sempre un titolo”. A contrasto, la foto di Osama in camice verde, con una cera migliore e lo sguardo curioso. Come già ampiamente detto, la foto di Osama al-Raqab scheletrico è di maggio ma è un fatto. Il governo israeliano sostiene sia “artefatta” perché non mostra gli effetti della malnutrizione, bensì della fibrosi cistica. Già l’Associated Press , però, scriveva che le condizioni di Osama erano “aggravate dalla malnutrizione”. Il suo veloce recupero in Italia, del resto, dimostra proprio che con cure adeguate e un ospedale poteva stare meglio: per farlo è dovuto andare all’estero.

Da settimane il governo israeliano organizza viaggi stampa, campagne social e pubblicità su Google per rispondere alle preoccupazioni internazionali crescenti per la fame a Gaza, ieri condivisa pure da Donald Trump: “A Gaza la gente muore davvero di fame, è difficile fingere”. E invece Israele insiste a dire che molti, se non tutti, i gazawi che vediamo ogni giorno soffrire fanno finta, o soffrono per colpa di Hamas. Il post rilanciato ieri sugli account governativi di Tel Aviv aggiunge anche altro, però: “Ecco una moderna accusa del sangue (blood libel)”. Il riferimento è alla diceria medievale che voleva gli ebrei bere sangue umano durante Pesach , diventata un archetipo dell’antisemitismo fino ai nazisti. Un’accusa infondata. Come forse l’accusa di antisemitismo per chi pubblica foto di gazawi che soffrono.

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