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Il filosofo Anoush Ganjipour: “Non dovrà essere Netanyahu a far cadere gli ayatollah”

“Rischiamo di diventare un’altra Libia, per questo serve la tregua”
Il filosofo Anoush Ganjipour: “Non dovrà essere Netanyahu a far cadere  gli ayatollah”
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In un recente testo pubblicato su Le Monde, Anoush Ganjipour, filosofo franco-iraniano, parla del “paradosso tragico” in cui, come tanti iraniani, si trova a vivere dall’attacco di Israele all’Iran: “Dovrei essere sollevato nel vedere che i capi dei Guardiani della Rivoluzione vengono eliminati. Ma non sono né contento, né sollevato. Come iraniano, nulla giustifica la violazione dell’integrità territoriale del mio Paese”. Per Ganjipour, in Francia dal 2006, quando Israele giustifica la sua aggressione parlando di “attacco preventivo” di fronte alla minaccia nucleare dell’Iran “è prendersi gioco del mondo”: “Parlare di attacco preventivo da parte d’Israele è uno slogan. Il livello di infiltrazione del Mossad, i servizi segreti israeliani, nell’apparato statale iraniano è noto. L’incompetenza militare del regime è evidente. Come immaginare un solo istante che Israele e Stati Uniti non fossero al corrente di questa debolezza strutturale? Che la Repubblica islamica è incapace di fabbricare l’arma atomica? Non siamo di fronte a un gruppo terrorista, come l’Isis o i talebani, ma a un apparato statale che non ha vocazione suicida. Lo sa che se facesse uso del nucleare verrebbe annientato”.

Pensa che la fine del regime sia inevitabile?

Lo Stato iraniano è molto indebolito. Ma, nella situazione attuale, la caduta di questo regime, corrotto, illegittimo, che condanno, non è la priorità. La priorità è il cessate il fuoco immediato. Se il regime cade per mano straniera si corre il rischio grave di una “libizzazione” dell’Iran. Fare dell’Iran una nuova Libia, dove la fine di Gheddafi ha trasformato il Paese in terra bruciata, farebbe solo gli interessi di Israele, degli Usa e dei Paesi del Golfo. Per essere sicuri che non succeda, bisogna che la guerra cessi.

Quando sente che la distruzione dei siti nucleari “libererà” il popolo iraniano, e il cancelliere tedesco Merz sostiene che Israele fa “il lavoro sporco” per tutti, cosa prova?

L’ingerenza delle potenze straniere in nome della “liberazione” del popolo iraniano è pura propaganda. L’obiettivo di questa guerra non è né la sicurezza di Israele, né la libertà degli iraniani: è distogliere l’attenzione da Gaza. Non dimentichiamo che Israele ha attaccato l’Iran proprio mentre la protesta per il dramma di Gaza cresceva in tutto il mondo e la possibilità di un riconoscimento dello Stato palestinese diventava reale. Ricordiamo anche che, due giorni dopo l’attacco, l’Iran avrebbe dovuto negoziare con gli Usa il suo programma nucleare. E si sa che era pronto a fare concessioni, consapevole di uscire indebolito dal 7 ottobre e dalla sconfitta di Hezbollah in Libano. Per quanto riguarda Merz, il suo “lapsus” riassume la politica che l’Occidente ha assunto rispetto al Medio Oriente dopo la Shoah. Che la Germania, che fu all’origine dello sterminio degli ebrei, oggi sostenga in modo incondizionato la politica ingiustificabile di Netanyahu, a Gaza e ora in Iran, è il segno evidente dell’antisemitismo strutturale, mai morto, dello Stato tedesco. Gli ebrei sono le “pedine” delle potenze occidentali per fare il “lavoro sporco”.

Lei scrive che solo il popolo iraniano ha la legittimità di rovesciare il regime. Ha i mezzi per riuscirci?

Sta ai popoli sovrani operare un cambio il regime, con metodi democratici o tramite la lotta civile. Ed è quello che il popolo iraniano sta tentando di fare, malgrado la repressione. È una lotta lunga, il cui ultimo episodio è stato scritto due anni fa, con il movimento Donna Vita Libertà. Tante conquiste sono state raggiunte, anche per le donne, malgrado il prezzo alto che pagano.

C’è un’alternativa politica credibile oggi a Khamenei?

In quarant’anni, l’apparato repressivo iraniano, come tutti i regimi fascisti, è riuscito in parte a distruggere moralmente la popolazione. Ha anche eliminato la vera opposizione per sostituirla con un’opposizione, formata in Occidente, a sua immagine, corrotta e mediocre. Da più di trent’anni, i nemici o rivali dell’Iran, Israele, Stati Uniti, Arabia Saudita, e in un certo senso Turchia, sono pervenuti a una convergenza programmatica che, come si legge in un recente editoriale del Jerusalem Post, mira a “smantellare l’Iran a partire dalle sue componenti etniche e religiose”. Premesso questo, l’alternativa legittima è nella lotta del popolo ed è dalla lotta che emergono i rappresentanti legittimi del popolo iraniano, figure come la Nobel Narges Mohammadi o, dopo il Movimento verde, Hossein Moussavi, ai domiciliari dal 2011. Loro e altri oggi sono in prigione o sotto le bombe israeliane. E, come tutti gli iraniani, non hanno un rifugio. Non c’è sirena che annunci i bombardamenti. Se muoiono nessun media occidentale ne parlerà. Questa è la tragedia iraniana.

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