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Il fantasy Mori-De Donno e quei regali alla mafia

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Il 13 maggio è stata depositata avanti alla Commissione parlamentare antimafia presieduta da Chiara Colosimo una memoria del gruppo 5Stelle predisposta dal senatore Scarpinato. Ed ecco la vera storia di Giuseppe Li Pera, tratto in arresto dalla Procura di Palermo il 9.7.1991 per 416 bis nell’ambito del procedimento mafia-appalti Sirap. Interrogato dal gip e poi dal pm, si era rifiutato di rispondere. Successivamente aveva fatto pervenire una memoria, contestando tutte le accuse. Ancora, in un interrogatorio del pm protrattosi per varie ore e al quale aveva assistito anche De Donno, aveva nuovamente respinto gli addebiti.

Si verifica però una clamorosa sorpresa. Il 28.10.1992 la Procura di Catania trasmette a quella di Palermo, per competenza, un fascicolo dal quale i magistrati palermitani apprendono che De Donno, proprio mentre a Palermo stava per iniziare nei primi giorni dell’ottobre 1992 il dibattimento nei confronti di Li Pera e altri per il reato di cui all’art. 416-bis, aveva posto in essere una manovra caratterizzata da gravi anomalie istituzionali e suscettibile di avere ripercussioni devastanti sul dibattimento che stava per iniziare. Emergeva in particolare che Li Pera – ristretto a Teramo a disposizione della Procura di Palermo – era stato sentito come persona informata sui fatti, quindi senza difensore, sugli stessi fatti per i quali egli era indagato a Palermo. Solo in data 14.10.1992 – cioè pochi giorni prima dell’inizio del dibattimento a suo carico a Palermo – Li Pera (nel carcere dell’Asinara) veniva informato dal pm di Catania della sua qualità di indagato, senza precisare per quale reato.

Dalla lettura degli atti trasmessi dalla Procura di Catania risultava che Li Pera, al pm e a De Donno, aveva dichiarato falsamente che i magistrati della Procura di Palermo non si erano dimostrati interessati ad ascoltarlo, senza che De Donno lo smentisse. Li Pera aveva quindi reso dichiarazioni sul sistema di manipolazione delle gare di appalto pubbliche che escludevano completamente qualsiasi ruolo della mafia nella cabina di regia.

Il pm di Catania, coadiuvato per le indagini da De Donno, aveva preparato una richiesta di custodia cautelare per associazione a delinquere semplice, che riguardava le stesse gare di appalto gestite dalla Sirap per le quali la Procura di Palermo aveva contestato il reato di associazione mafiosa.

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Catania avrebbe dovuto intervenire proprio mentre iniziava il dibattimento a Palermo, causando lo stravolgimento dell’impianto probatorio palermitano: semplici testimoni sarebbero diventati persone indagate; mentre coloro che, come Li Pera, erano stati tratti a giudizio in quanto promotori e organizzatori dell’associazione mafiosa dedita al controllo delle gare di appalti Sirap, venivano declassati a semplici associati ex art. 416, con esclusione di qualsiasi ruolo della mafia nel controllo delle gare Sirap, determinando così un clamoroso e insanabile cortocircuito processuale.

Un disastro, un regalo per la mafia: evitato solo grazie all’intervento in extremis del procuratore di Catania. Ma nonostante gli scivoloni (a dire davvero poco) di Catania, Mori e De Donno si impancano costantemente a maestri di procedura nei confronti di tutti. Vien voglia di darsi un pizzicotto per convincersi che non è un incubo.

Chiudo con due note di colore (cupo).

Mori lamenta che, per interrogare Ciancimino, io mi sia avvalso della cooperazione di due sostituti secondo lui non molto esperti. Peccato che si tratti di Antonio Ingroia, allievo prediletto di Borsellino e all’epoca titolare del difficile processo Contrada (concluso in Cassazione con una pesante condanna); mentre l’altro magistrato, Luigi Patronaggio, è oggi procuratore generale di Cagliari. Interrogando Ciancimino, poi, non avremmo saputo cogliere le opportunità di indagine che forse il furbo don Vito poteva fornire. E qui non so di cosa parli Mori, posto che Ciancimino non ha mai offerto uno spunto concreto che consentisse di considerarlo un collaboratore.

Le sue energie sembravano assorbite da un dattiloscritto intitolato Le mafie, nel quale emergeva un odio feroce contro Falcone, fatto oggetto di una serie infinita di insulti irripetibili. Quanto a Borsellino, si negava tout court che “una testa così possa fare il magistrato”. Belle referenze per un “pentito”…

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