Antifascisti di oggi, perseguitati solo dentro il salotto tv

È vero, come scrive Marco Travaglio nella prefazione di Antifascisti immaginari, che “le nostre chiacchierate mattutine dopo aver letto i giornaloni, e serali dopo aver assistito o partecipato a questo o a quel talk show” mi (ci) hanno istigato a scovare le “facce da Ventotene”: cioè i finti martiri che si atteggiano a perseguitati di un immaginario regime, sempre sul punto di essere deportati in qualche isola sperduta. Così Marco ne tratteggia l’angosciato profilo: “Intellettuali, scrittori e giornalisti che aspirano alla censura, al bavaglio, all’esilio e intanto continuano a troneggiare sulle maggiori tv (anche quella della famigerata TeleMeloni), ma non riescono a levarsi dal volto quell’espressione sgomenta da novelli Matteotti della mutua”.
Quando, una domenica di alcuni mesi fa, visitai la cella del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo in via Tasso mi domandai come mai quel Museo storico della Liberazione fosse in un giorno festivo pressoché privo di visitatori. Eppure, nella triste palazzina del quartiere San Giovanni i nazifascisti avevano perpetrato i loro delitti imprigionando e torturando chiunque fosse soltanto sospettato di cospirare contro gli occupanti con la svastica e i loro scherani in camicia nera. Pensai che mentre quegli eroi dell’antifascismo, che con il loro sacrificio avevano restituito la libertà all’Italia e agli italiani, venivano ricordati quasi esclusivamente in occasione delle commemorazioni ufficiali, l’antifascismo immaginario, strumentale e piuttosto finto troneggiava nel dibattito pubblico, politico e televisivo, usato preferibilmente per sparare (a salve) contro il governo Meloni.
I disastri combinati dalla destra al potere sono sotto gli occhi di tutti. A cominciare da una compagine ministeriale funestata da ministri processati per truffa e falso in bilancio e altri che un’amante troppo invadente ha costretto alle dimissioni. Per non parlare dell’attacco alla magistratura scatenato dagli emuli del peggior berlusconismo. Debole con i forti (la sottomissione alla Nato) e forte con i deboli (i record di povertà assoluta, la persecuzione degli immigrati non regolari) abbiamo un governo che subisce i peggiori attacchi dell’opposizione da salotto quando si tratta di evocare il rischio di un’altra, imminente Marcia su Roma. È il coro degli indignati speciali che si alza in occasione dell’annuale pellegrinaggio a Predappio di qualche centinaio di nostalgici avvinazzati. Oppure quando, a Roma, i manipoli di CasaPound e Forza Nuova vivono il loro quarto d’ora di celebrità sfoderando labari e saluti romani, purché a favore di telecamera.
Capita infatti che fascismo da burletta e antifascismo immaginario diano luogo a un reciproco teatrino nel quale si sostengono (e si legittimano) a vicenda. A pochi giorni dal 25 aprile e dall’Ottantesimo anniversario della Liberazione si paventa il rischio che le nuove generazioni possano restare distanti da quegli eventi la cui memoria non accenderebbe in loro interesse e passione. Probabile che sia così se si pretende di coinvolgerli con le solite frasi di rito o somministrando loro pistolotti intrisi di retorica. C’è forse da meravigliarsi se il finto antifascismo procuri generalmente diffidenza o distacco? Figuriamoci in quelle menti giovani che per emozionarsi hanno necessità di capire e toccare con mano. Allora portiamoli a via Tasso, a Sant’Anna di Stazzema e in ogni altro luogo segnato dalle stragi nazifasciste dove potranno capire che cosa significa donare la vita per la propria patria. Dove forse sapranno distinguere tra la realtà che sanguina e urla e un videogioco. Fate loro vedere a via Tasso le pareti delle celle graffiate con le unghie dai prigionieri, le incisioni strazianti a cui affidare l’estremo messaggio per le madri, le compagne, i figli, sul punto di essere tradotti dalla Gestapo nelle camere di tortura. Lo stesso destino che accompagnerà il colonnello Giuseppe Montezemolo per cinquantotto giorni rinchiuso in una cella completamente buia. Descrivete loro il tormento di un uomo, di un soldato che come la moltitudine di uomini e di soldati che si batterono contro la dittatura, non cedette alle angherie degli aguzzini. Rifiutò di barattare il suo onore con la sopravvivenza e finì trucidato alle fosse Ardeatine. Conosciamo le sentenze del tribunale supremo dell’antifascismo immaginario. Quello che arrivò a tacciare di fascismo l’antifascista Giampaolo Pansa, reo di aver pubblicato Il sangue dei vinti sugli eccidi di cui si macchiarono nel dopoguerra le bande partigiane assetate di vendetta. Egli ci ha insegnato che il vero giornalismo non fa sconti a nessuno, soprattutto a chi vanta presunte superiorità morali in forza di un’appartenenza politica. È la lezione che noi del Fatto cerchiamo di non dimenticare.