La nuova Europa orwelliana: più guerra e disuguaglianze
Una cosa va detta: sul nome sono stati onesti. Altro che difesa comune, cooperazione per la pace, solidarietà europea: il coniglio estratto dal cilindro della sempre più spregiudicata presidente della Commissione Ue si chiama ReArm Europe, muscolare e spaventosa affermazione di intenti, che nel tradire lo spirito con cui nacque l’Europa indica fin da subito il vicolo cieco in cui ci stanno cacciando. Trattasi di una montagna di soldi, e di futuri debiti, affinché ogni Stato compri per sé armi, armi e ancora armi; denari irreperibili per sanità, istruzione, ricerca, riconversione industriale e abbattimento delle atroci disuguaglianze che stanno sfaldando la radice sociale dell’Europa, nonché minando la sua tenuta democratica. Pazienza dunque se parte delle risorse per missili e bombe saranno sottratte proprio ai fondi di coesione pensati per rammendare squilibri e disparità, e se per trasformarci in una improbabile potenza bellica sarà concesso addirittura superare l’assurda gabbia del Patto di stabilità appena varato e apparentemente inscalfibile. Abituiamoci pure alla neolingua orwelliana che disegna come Safe, Security action for Europe, il piano di debito per il riarmo che potrebbe invece distruggere lo spazio comune, mentre l’Italia che in Costituzione ha scritto tra i principi fondamentali il ripudio della guerra pianifica addirittura un nuovo arruolamento; “La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”, era lo slogan del ministero della Verità nel romanzo 1984, e sembra oggi straordinariamente attuale. Tanto più quando sono i generali stessi a spiegare, in coerenza col proprio mandato, che in assenza di un coordinamento tra i 27 Paesi dell’Unione, senza visione e chiarezza politica su piani di sviluppo, interoperabilità, utilizzi, linee comuni e tutto quello che distingue una strategia da una reazione emotiva spronata da interessi specifici, l’imponente mobilitazione economica per il riarmo europeo servirà solo a fare ancora più ricca la lobby degli armamenti, anche e soprattutto fuori dall’Europa. Servirà a ingrossare le dotazioni nazionali, a creare domani nuovi problemi decisionali su comandi e chiarezza, e non certo alla difesa e sicurezza comune invocate e utilizzate come scudo per prendere decisioni scellerate.
Ecco, allora, che la “piazza per l’Europa” convocata per il prossimo sabato nel dirsi “pre-politica” si presta consapevolmente a essere utilizzata proprio per validare quelle decisioni scellerate, checché ne dica la strana ma non inedita combinazione tra autoproclamato progressismo e salotti bene che la promuove. Perché, se davanti alla brutalità fascistoide delle azioni statunitensi, il sussulto di europeismo è non solo giusto ma doveroso, è ancora più doveroso un interrogativo su quale sia l’Europa che siamo chiamati a difendere. Molte organizzazioni, a partire dal Forum Disuguaglianze e Diversità, lo hanno chiarito con forza, aggiungendo indicazioni nette da portare in piazza, ma anche all’Europarlamento, nel dibattito pubblico e in quello politico, misurandosi anche sul tema della necessaria difesa comune. È essenziale dire qual è l’aspirazione che deve muovere il continente, e ancora più segnalare con chiarezza adamantina gli errori di percorso di questa Commissione che appare sovente scandalosamente inadeguata ai tempi: unità e solidarietà non possono infatti essere tributate a questa leadership e, soprattutto, a questi provvedimenti, in contrasto netto con le premesse e le promesse della fondazione stessa dell’Unione europea. Il sussulto di speranza e orgoglio che spinge la piazza chiede cooperazione internazionale e transizione climatica, diritto alla salute e una politica migratoria sideralmente lontana dall’autolesionismo sadico della Fortezza Europa: soltanto così la Ue può rimettere al centro la propria azione, non certo con la follia del riarmo.