Ritorno del Mes e ripudio Green. La Ue si adatta a Donald Trump
Prima doveva salvare gli Stati, poi le banche, infine la sanità: nulla di nulla. L’ultima idea è quella di utilizzare il Mes per comprare le armi, e il cortocircuito dalla salvezza alla potenza letale sarebbe notevole, se non ci fossimo già abituati all’assurdità di chiamare “European peace facility” un fondo utilizzato in questi anni per accatastare armamenti: alla faccia dello strumento di pace. Ma tant’è, di fronte alla violenza illiberale di Donald Trump e della cricca di magnati high-tech per cui libertà è accumulo di potere e diritto a distruggere, l’Unione europea sembra chinare la testa e prendere appunti, preparandosi ad affondare l’idea di democrazia e di sviluppo da cui è nata.
Va detto che le premesse non erano delle migliori: tanto le linee di indirizzo della rieletta presidente Ursula von der Leyen quanto le audizioni dei commissari scelti lasciavano scarse speranze a chi crede in uno spazio politico, sociale e culturale votato alla giustizia sociale e ambientale. Ma, messa alle corde dall’irruzione del cattivismo e dell’affarismo come cifra di governo negli Stati Uniti, l’Europa sembra fare peggio delle previsioni: e vanno bene il viaggio a Kiev e il sostegno a Zelensky (ma non sarebbe stato meglio promuovere un dialogo in questi anni?), però è nei fatti che si misurano le cose e quelli che si possono mettere in fila finora segnalano nella migliore delle ipotesi l’irrilevanza, e nel peggiore la complicità. Non solo la tanto citata difesa comune, imprescindibile se si vuole essere coordinati ed efficienti, nonché per liberare risorse fondamentali, è al momento un vuoto pour parler. Ma, in meno di un mese dall’arrivo al potere di Trump, la Ue ha anche deciso di ritirare la direttiva sulla Responsabilità dell’Intelligenza artificiale assecondando il desiderio di Far West espresso dal vicepresidente JD Vance, nonché di spingere sulla semplificazione del Green Deal e delle direttive sulla due diligence delle imprese, cioè i controlli a cui sono sottoposte. Attenzione: si scrive semplificazione e si legge deregulation. Ossia l’eterno ritorno dell’uguale ricetta che, dopo un lungo giro da salvatore dell’euro nonché profeta del “debito buono”, è tornato a richiedere con un certo sussiego anche l’ex-tutto Mario Draghi: come se 30 anni di neoliberismo feroce non avessero insegnato nulla. La verità è che hanno insegnato eccome, ma non a queste élite. Hanno (in)segnato alla cittadinanza che da tempo chiede di essere ascoltata, mentre la classe dirigente è ripiegata su se stessa: basterebbe leggere l’astensione alle ultime elezioni (europee, ma il discorso si adatta perfettamente anche a quelle nazionali), sovrapponendole alle aree di disagio e sottosviluppo, per capire il rifiuto di certa politica. E sarebbe opportuno chiedersi perché in Germania il 20,8% di elettori abbia scelto l’estrema destra di AfD piuttosto che confermare la scialba copia di una socialdemocrazia guerrafondaia. Soprattutto, bisognerebbe prestare ascolto al sondaggio a cura di Archivio Disarmo, che illustra con chiarezza come il 66% della popolazione italiana sia risolutamente contraria ad aumentare ulteriormente le spese militari: non sfugge a chi ne pagherà le conseguenze cosa significhi investire in armi, con un’autorizzazione europea ad hoc a sfondare le gabbie suicide del Patto di Stabilità, mentre curarsi diventa impossibile, lavoro e pensioni sono poveri, non esistono piani e investimenti reali per affrontare l’emergenza climatica e la conversione industriale. Senza un radicale cambio di rotta, senza un ripensamento dell’Armiamoci e partite e del vassallaggio a Trump, quest’Europa tiene in ostaggio il futuro di tutte e tutti, mentre si spegne rapidamente. E le conseguenze rischiano di essere devastanti.
* Per il Forum Disuguaglianze e Diversità