Inviato a Calenzano (Firenze)
Una squadra di operai nel posto sbagliato, a effettuare lavori di manutenzione su una linea di rifornimento che doveva essere dismessa, e invece stava pompando benzina alle autobotti in coda: i manutentori svitano i bulloni di sicurezza di un tubo pieno di carburante e fanno saltare tutto proprio per il surriscaldamento provocato dai loro stessi strumenti.
Un errore umano gigantesco, che però, secondo gli inquirenti, sarebbe avvenuto in un quadro più generale di totale mancanza di rispetto di regole di sicurezza basilari: secondo i consulenti della Procura di Prato lavori di manutenzione di quel tipo erano “interferenti” rispetto alle operazioni di carico e scarico delle autocisterne. Questa circostanza troverebbe parziali riscontri nelle stesse regole interne scritte dai responsabili della sicurezza di Eni, gestore dell’impianto, e contenute nel Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze (Duvri), trovato e sequestrato dai carabinieri di Firenze. Non si potevano e non si dovevano fare interventi simili senza interrompere le attività ordinarie. Una consapevolezza che, secondo le ipotesi investigative, potrebbe spiegare perché la pianificazione di quei lavori avvenne nel corso di un “sopralluogo fantasma”, poche settimane prima dell’incidente, condotto da personale di Eni e della ditta in subappalto Sergen, di cui però non esiste un verbale: quelle operazioni erano pericolosissime e, secondo chi indaga, fuori norma; questo forse potrebbe spiegare il motivo per cui non ne era stata lasciata traccia.
A un mese esatto dalla strage, Calenzano assomiglia già a una storia italiana. L’esplosione avvenuta alle porte di Firenze ha provocato cinque morti (due lavoratori Sergen e tre camionisti) e 26 feriti, di cui due in coma. Un bilancio tragico, che poteva essere ben peggiore se fossero saltati in aria gli enormi silos (trenta) che ospitano benzina, nafta e gasolio, a pochi metri da case e uffici. A monte del disastro ci sono più allarmi ignorati: una delle vittime, Vincenzo Martinelli, aveva segnalato al proprio datore di lavoro, la Bt trasporti, le “continue anomalie” alle linee di rifornimento di Calenzano e chiesto l’intervento di responsabili della sicurezza. I sindacati avevano raccolto molte altre segnalazioni, mai formalizzate: chi chiedeva il rispetto delle norme di sicurezza, riferiscono fonti sindacali, veniva tenuto fuori dagli impianti. Ci sono testimonianze che raccontano che quanto accaduto il 9 dicembre scorso – la compresenza di lavori di manutenzione alle linee di carburante mentre erano in corso le operazioni di carico e scarico delle autobotti – non era affatto un evento estemporaneo. C’è, infine, un giallo sulla documentazione, che se non è possibile definire ad oggi un depistaggio, potrebbe essere sicuramente una grave irregolarità: perché del “sopralluogo congiunto” di Eni e Sergen, di cui si parla nelle mail tra le due aziende, non è stato redatto un regolare verbale? Non è la sola anomalia. Il foglio di lavoro trovato dagli inquirenti – ovvero il documento che dovrebbe spiegare le modalità con cui effettuare l’intervento di manutenzione – è stato trovato in bianco.
La ricerca di quel verbale spiega le nuove perquisizioni avvenute due giorni fa presso le due società coinvolte, Eni e Sergen, e i sequestri di telefoni e materiale informatico nei confronti di tecnici che avevano responsabilità formali nella pianificazione dell’intervento di manutenzione, affidato da Eni a Sergen. Nel frattempo, un nuovo sopralluogo dei consulenti della Procura ha cristallizzato la dinamica dell’incidente. Le telecamere interne dell’impianto inquadrano una squadra di manutentori Sergen intenta a lavorare mentre alle linee di rifornimento sono incolonnate le autobotti. Accertamenti sul tubo in riparazione hanno mostrato che erano stati rimossi dispositivi di sicurezza fondamentali: i bulloni che tenevano ferma la flangia, ovvero la congiunzione che tiene insieme due estremità di una tubazione.
Per questo la tubazione improvvisamente salta e si vede una copiosa fuoriuscita di carburante, nel corridoio tra la linea numero 7 e la numero 8. È un dettaglio rilevante, perché quella è una linea di rifornimento attiva e in coda, alle colonnine, ci sono alcuni degli autotrasportatori che moriranno nella deflagrazione.
Subito dopo l’incidente, Eni aveva confermato che erano in corso manutenzioni, ma su una linea non attiva. È stato un errore degli operai o di chi li ha mandati? Erano formati per fare quello che stavano facendo? E, soprattutto, era un’attività consentita? Secondo i consulenti della Procura la risposta è no. E l’innesco dell’esplosione potrebbe essere stato provocato proprio da una scintilla scaturita dagli strumenti utilizzati, come il carrello elevatore ripreso dagli stessi filmati delle telecamere di videosorveglianza.
“Ci sono indagini in corso e abbiamo consegnato la nostra documentazione all’autorità giudiziaria – fanno sapere da Eni – non abbiamo altri commenti”.
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