Il Fatto di domani. Nuova tegola su Bari: indagato l’assessore al Bilancio. Si ritira il “terzo nome” del centrosinistra. Israele medita una risposta “dolorosa” per l’Iran e rimanda l’offensiva a Rafah

Di FQ Extra
15 Aprile 2024

NUOVA SCOSSA A BARI: INDAGATO L’ASSESSORE COMUNALE AL BILANCIO. COLAIANNI SI RITIRA DALLA CORSA A SINDACO. È un terremoto che sembra non finire mai: dopo gli arresti delle scorse settimane, oggi si è avuta notizia di un’inchiesta europea che coinvolge l’assessore al Bilancio della giunta Decaro, Alessandro D’Adamo, sua sorella e una terza persona. La Guardia di finanza ha eseguito perquisizioni – domiciliari e nelle sedi dell’associazione Kronos e di altre due a essa collegate – per le ipotesi di reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Attraverso alcuni enti di formazione, tra il 2019 e il 2022 avrebbero beneficiato di contributi europei erogati nell’ambito del programma “Garanzia giovani”. Il sindaco Decaro ha subito revocato le deleghe a D’Adamo, che appartiene al movimento Sud al centro, lo stesso dell’ex assessora regionale Anita Maurodinoia. È una nuova tegola che si abbatte sul centrosinistra, alle prese col pantano delle prossime Comunali. Oggi si è ritirato dalla corsa Nicola Colaianni, l’ex parlamentare ed ex magistrato che solo sabato era stato indicato da Nichi Vendola come il terzo nome per superare lo stallo tra Michele Laforgia, appoggiato dai 5S, e Vito Leccese, delfino di Decaro sostenuto dal Pd. A pesare sulla decisione, ha spiegato Colaianni, sono state la parole di Conte – che ieri ha ribadito il sostegno a Laforgia – e la melina dei candidati locali. I quali in queste ore si stanno rivedendo: non è escluso, alla luce dell’ultima indagine a carico di D’Adamo, che Leccese possa scegliere di fare un passo indietro. Rimane, e anzi si allarga, la questione morale nel Pd locale. Sul Fatto di domani ci occuperemo della nuova inchiesta e di quello che potrà ancora accadere nel capoluogo pugliese. Sul voto di giugno pesa ancora lo spettro del commissariamento. Oggi sulla questione è tornata la premier, Giorgia Meloni, dal Vinitaly di Verona: “Noi avremmo fatto una forzatura se non avessimo inviato una commissione d’accesso – ha dichiarato – che oltretutto non è pregiudizialmente finalizzato a uno scioglimento”.


MEDIO ORIENTE, ISRAELE PENSA AD AZIONI “DOLOROSE” PER L’IRAN E RIMANDA L’OPERAZIONE A RAFAH CONTRO HAMAS. L’ordine di evacuazione per i civili da Rafah, nel sud della Striscia, l’esercito israeliano l’avrebbe dovuto emanare oggi. Ma le operazioni, secondo la Cnn, sono state rimandate perché la “questione Iran” è divenuta più urgente. Il gabinetto di guerra sta vagliando diverse opzioni su come e quando rispondere all’attacco iraniano della notte fra sabato e domenica. La riunione proseguirà domani. Secondo Channel 12, sul tavolo ci sono opzioni “dolorose” per Teheran, che possano essere accettate dagli Stati Uniti e non siano causa di un conflitto allargato all’intero Medio Oriente. Il quotidiano americano Wall Street Journal anticipa: la replica israeliana all’Iran – che con il lancio di centinaia di missili si è voluto vendicare dell’uccisione, due settimane fa, del generale Reza Zahedi – potrebbe già arrivare oggi. Per il Washington Post lo Stato ebraico potrebbe colpire “una struttura o dare il via ad un attacco informatico”. Gli alleati occidentali chiedono a Tel Aviv di non alzare ancora la tensione, considerando che il conflitto a Gaza contro Hamas – scaturito dalla strage del 7 ottobre firmata dai fondamentalisti con 1.200 morti, più di 3.000 feriti e centinaia di ostaggi – è in corso. L’attacco di Teheran è stato neutralizzato anche con la collaborazione di Paesi come Arabia Saudita, monarchie del Golfo e Giordania. Sul Fatto di domani troverete una mappa con gli Stati islamici a religione sunnita che contrastano la strategia dell’Iran sciita. Quest’ultimo dal 7 ottobre ha appoggiato sia Hezbollah con le sue incursioni dal Libano sul nord di Israele, che i raid degli Houthi dallo Yemen che hanno preso di mira il traffico marittimo lungo la penisola arabica.


GERMANIA LA POLIZIA BLOCCA UN CONGRESSO SULLA PALESTINA, VAROUFAKIS DENUNCIA DI ESSERE STATO BANDITO. Venerdì scorso a Berlino la polizia ha interrotto un evento internazionale organizzato da gruppi filopalestinesi e dalla sinistra, chiamato Congresso della Palestina. Le forze dell’ordine del land hanno sgomberato la sala, chiuso gli ingressi e staccato la corrente, motivando l’intervento con la volontà di bloccare una presunta “propaganda antisemita e anti-Israele”. I due concetti, com’è noto, in Germania non si differenziano, in ragione del pesante fardello storico che il Paese porta nei confronti degli ebrei. La censura del movimento pro-Palestina, non la prima dallo scoppio della guerra contro Hamas in risposta al massacro del 7 ottobre, è diventata un caso politico perché tra gli ospiti del convegno c’era anche l’ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis, da anni leader della formazione Diem25. Varoufakis ha denunciato sui suoi social (poi ripreso da alcuni media) di aver ricevuto, con altri, un divieto di ingresso e di condurre qualsiasi attività politica in Germania (inclusi videocollegamenti da remoto), con un decreto chiamato betätigungsverbot, “divieto di attività. Il ministero dell’Interno si è rifiutato di confermare la circostanza ai media, ma ha spiegato che l’interruzione è avvenuta perché al Congresso era stato trasmesso un videomessaggio di Salman Abu Sitta, politico vicino ad Hamas. Oggi, durante una conferenza stampa della portavoce del cancelliere Olaf Scholz, la portavoce Christiane Hoffmann ha negato la responsabilità del governo federale, scaricando tutto sulle forze di sicurezza della Capitale. Sul Fatto di domani approfondiremo questa vicenda e apriremo un dibattito sulla censura e la libertà di espressione nelle democrazie occidentali, mettendo in fila altri casi.


CARREFOUR, ESSELUNGA E GLI ALTRI: LE GRANDI AZIENDE CHE SFRUTTANO MANODOPERA E FRODANO LO STATO PER ABBATTERE I COSTI. Anche il Carrefour attingeva ai “serbatoi di manodopera”. Oggi il Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf di Milano ha sequestrato 64,7 milioni di euro alla GS spa, di proprietà del gruppo dei supermercati francese, con l’accusa di frode fiscale. Si tratta di un nuovo filone delle inchieste portate avanti dal pm di Milano Paolo Storari su un presunto sistema di appalto della manodopera e dei servizi di logistica, che metterebbe in campo metodi illeciti con lo scopo di abbassare i costi. In particolare, gli inquirenti hanno rilevato uno schema di scatole cinesi per cui i rapporti dei dipendenti con GS “sono stati schermati da società filtro che a loro volta si sono avvalse di diverse società cooperative (società serbatoio), che avrebbero sistematicamente omesso il versamento dell’Iva, nonché degli oneri di natura previdenziale e assistenziale ai lavoratori”. I fornitori di manodopera sotto la lente sono 13, il danno erariale stimato è di quasi 110 milioni di euro. Il meccanismo prevedeva anche la produzione di fatture per operazioni giuridicamente inesistenti, a fronte della stipula di contratti fittizi di appalto per manodopera, per un valore complessivo superiore a 362 milioni di euro. Carrefour Italia, in una nota, ha precisato che la questione oggetto dell’indagine riguarda soltanto le attività di logistica e si dice pronta a collaborare. I cosiddetti “serbatoi di manodopera” erano già emersi nei mesi scorsi nelle inchieste su Esselunga, ma anche i colossi della logistica Dhl, Gls, Uber, Brt e Geodis. Ma l’elenco non si ferma qui: nel decreto di sequestro i pm aggiungono i nomi delle aziende: Spumador, Salumificio Beretta, Spreafico, Movimoda, Lidl, Nolostand-Fiera Milano, Schenker, Aldieri, gruppo Cegalin-Hotelvolver, Ups, Chiapparoli e Securitalia. Solo alla catena di supermercati milanese Esselunga furono sequestrati 48 milioni di euro. Se si sommano tutte le inchieste emerse finora, il ritorno per le casse pubbliche è consistente. Eppure la maggioranza di governo non sembra interessata all’argomento quanto lo è per il presunto sperpero di denaro dovuto al reddito di cittadinanza. Sul Fatto di domani il nostro approfondimento.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Trump a processo (il primo) gioca la carta della persecuzione giudiziaria. L’ex presidente Usa è comparso davanti al tribunale di New York per l’udienza del processo per i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels. È il primo processo penale contro un ex inquilino della Casa Bianca nella storia degli Stati Uniti. Trump ha definito il giudizio un “attacco all’America” e una “persecuzione politica”. La sua richiesta di ricusazione del giudice è stata respinta.

Carcere ai giornalisti, FdI ritira l’emendamento. Il partito di Giorgia Meloni ci ripensa e ritira l’emendamento che aumentava il carcere per i giornalisti condannati per diffamazione (fino a 4 anni e mezzo). La proposta aveva sollevato grossi malumori anche dentro la stessa maggioranza con Fi e Lega che si erano espresse contro.

È ufficiale, Amadeus passa al Nove. Amadeus non rinnoverà il suo contratto con la Rai, in scadenza il 31 agosto. Nel colloquio avuto a fine mattinata con il Dg Giampaolo Rossi, il conduttore ha ufficializzato la decisione che era nell’aria da settimane: la volontà di impegnarsi in nuove sfide professionali, che secondo voci sempre più insistenti lo attendono sul canale Nove del gruppo Warner Bros Discovery. Il conduttore ha dichiarato in un video sul suo profilo Instagram che la Rai si è “sforzata di trattenerlo”. Non la vede così il responsabile informazione del Pd Sandro Ruotolo: “Quando una casa diventa inospitale il problema è della casa non di chi va via. Prima Fazio, Annunziata Gramellini, ora Amadeus… bisogna interrogarsi su questo”.


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Russia-Ucraina e Israele-Iran: il filo rosso delle cripto che lega le guerre (e in mezzo c’è anche un italiano)

di Nicola Borzi

Il Medio Oriente rischia di cadere in una guerra regionale che vede contrapposti Israele e Iran. Nel frattempo la Russia di Vladimir Putin continua a conquistare posizioni nella guerra di invasione che da oltre due anni sta conducendo contro l’Ucraina. E, dietro le quinte, la Cina manovra per stringere legami sempre più forti con i regimi di Mosca e di Teheran, che da parte sua finanzia il terrorismo di Hezbollah in Libano e di Hamas nella striscia di Gaza. C’è un legame che unisce tutte queste operazioni, e sono le criptovalute. Numerose indagini infatti hanno stabilito che proprio le cripto sono il canale finanziario parallelo attraverso il quale questi Paesi sostengono economicamente gli sforzi bellici e pagano le organizzazioni del terrore. Al centro della rete c’è, molto spesso, una stablecoin paradossalmente legata al dollaro Usa, potenza nemica di tutti questi Stati: si tratta di Tether.

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