“L’esercito di Macron avrebbe munizioni per quattro giorni”

Gaiani cita un rapporto militare della commissione Difesa transalpina. Le truppe Uk durerebbero due mesi

Al di là del gran dibattito filosofico intorno alla guerra in Ucraina, ci sono dati di realtà da cui è impossibile fuggire. Sono i giorni dei proclami bellicisti di Emmanuel Macron, ma anche dell’ammissione del leader dei Democratici nel Senato americano Chuck Schumer secondo cui “l’Ucraina potrà resistere ancora un paio di mesi” senza nuovi […]

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Al di là del gran dibattito filosofico intorno alla guerra in Ucraina, ci sono dati di realtà da cui è impossibile fuggire. Sono i giorni dei proclami bellicisti di Emmanuel Macron, ma anche dell’ammissione del leader dei Democratici nel Senato americano Chuck Schumer secondo cui “l’Ucraina potrà resistere ancora un paio di mesi” senza nuovi aiuti militari. E se Josep Borrell, alto rappresentante per la Politica Estera Ue, sostiene che “la guerra si deciderà in primavera o al massimo in estate”, una recente analisi della Cnn spiega che “la Russia è in grado di produrre 3 milioni di munizioni all’anno” mentre Usa e Europa, messe insieme, potrebbero arrivare “al massimo a 1,2 milioni”.

In questo contesto, si capisce perché alcuni analisti considerino “aria fritta” la promessa di missili Taurus da parte di Macron, che l’altro giorno ha visto il tedesco Olaf Scholz e il polacco Donald Tusk. Lo spiega al Fatto Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa: “Adesso si parla dei Taurus come della nuova arma miracolosa, come già era successo per gli Scalp e gli Storm Shadow. Da due anni andiamo avanti così. Ma il corso della guerra non cambia, l’Unione europea non ha più nulla da dare all’Ucraina in grado di cambiare l’esito del conflitto, perché abbiamo enormi problemi di produzione”.

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E poi Gaiani si spinge oltre. Non solo la differenza di armi è incolmabile, ma anche la sciagurata idea di mandare truppe Nato in Ucraina non sarebbe risolutiva. Perché? “Cito tre esempi. Nel 2022 un rapporto della commissione Difesa del Parlamento francese ha stimato che le scorte di munizioni avrebbero consentito all’esercito di Parigi di sostenere tre o quattro giorni di conflitto in Ucraina. L’altro giorno la Germania ha inaugurato una nuova fabbrica di munizioni e ha fatto sapere che per ripristinare le scorte ci vorrebbero 40 miliardi di euro. Infine, l’ultimo rapporto della Camera dei Comuni del Regno Unito sostiene che il Paese potrebbe combattere un conflitto convenzionale per un massimo di due mesi”. Per questo “chiunque dovrebbe avere chiara la percezione che la guerra non può essere un’opzione, ma solo un disastro, qualcosa da scongiurare a ogni modo. Oggi l’Unione europea è molto più debole di quanto è iniziata la guerra”. Viene da chiedersi allora come mai un leader tra i più centrali nel dibattito europeo insista con ipotesi inquietanti. Solo un bluff? Il problema, in questi casi, è che anche solo gli annunci possono portare a conseguenze imprevedibili, come già successo per infinite guerre nella storia.

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È la tesi del generale Marco Bertolini: “C’era da aspettarsi una deriva del genere, visto che dall’inizio della guerra in Europa non c’è stata nessuna volontà di arrivare a un dialogo, ma solo di demonizzare l’avversario. Siamo in un piano inclinato che ci porta verso il baratro”. A prescindere dalle reali intenzioni di Macron, quindi. “Io non so se il suo sia un bluff, di sicuro c’entrano anche questioni interne alla Francia – è la versione di Bertolini – ma quando si fanno certi annunci poi non è così semplice tornare indietro, a prescindere dalle intenzioni iniziali”. Un aspetto positivo della vicenda lo coglie invece Fabio Mini, firma del Fatto e già comandante Nato della missione Kfor in Kosovo nel 2002: “Almeno, c’è stata una presa di coscienza collettiva del problema. E, almeno in Italia, tutti hanno chiarito la propria netta contrarietà all’invio di truppe”.

Poi, però ,una soluzione al conflitto va trovata altrove. Mini spera nei vertici militari: “Io credo che in un modo o nell’altro l’Occidente porterà avanti il conflitto fino alle elezioni americane. Per il post confido negli eserciti. In Kosovo a un certo punto l’intesa con i serbi arrivò attraverso accordi tra i vertici militari e questo scenario credo sia ripetibile in Ucraina. I recenti cambi al comando delle forze armate di Kiev mi lasciano pensare che qualcosa si muova e possano essere i militari a imporre la linea alla politica, facendo capire che così non si può andare avanti”.