Il Fatto di domani. Abruzzo, schiaffo di Sangiuliano a Marsilio: bocciato taglio e colata di cemento sul parco naturale del Teramano. Donald fa il pieno al supertuesday e i trumpiani scaricano Meloni

6 Marzo 2024

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ABRUZZO, SBERLA DEL MINISTERO DI SANGIULIANO A MARSILIO: BOCCIATA LA COLATA DI CEMENTO SULLA RISERVA NATURALE DEL TERAMANO. Mentre da una parte all’altra del fronte si dicono tutti sicuri di vincere, segno che in Abruzzo il distacco tra i due candidati alle Regionali del 10 marzo è minimo (e Luciano D’Amico ha recuperato parecchi punti della forbice che lo separava dall’avversario di FdI Marsilio, almeno stando ai sondaggi dei giorni scorsi), la doccia fredda sul governatore uscente arriva dalla stessa compagine di governo: il ministero della Cultura, ossia Sangiuliano, ha bocciato la legge regionale che permette di costruire nell’area naturale del Borsacchio, sulla costa teramana. Una bocciatura presa al balzo dal candidato del centrosinistra: “Sono molto preoccupanti le osservazioni ministeriali che leggiamo in merito alla Riserva del Borsacchio, nel Teramano, soprattutto sul rischio di cementificazione, che la Giunta uscente ha sempre voluto minimizzare o addirittura negare”, ha detto D’Amico. Ma nonostante Forza Italia provi a gettare acqua sul fuoco (“non c’è stata nessuna bocciatura, ma al momento ci troviamo di fronte a una interlocuzione aperta dal Ministero della Cultura e dei Beni Culturali con la Regione Abruzzo, come spesso avviene”, ha detto il capogruppo in Consiglio regionale Mauro Febbo), lo smacco è sotto gli occhi di tutti, anche perché venerdì è previsto l’incontro proprio tra Marsilio e Sangiuliano all’Aquila, per la chiusura di campagna elettorale. E tutto questo nel giorno in cui Schlein e Bersani salgono sul palco di Sulmona per sostenere il loro candidato. Sul Fatto di domani tutte le ultime novità sulla battaglia politica per l’Abruzzo.


GIORGIA A METÀ TRA URSULA E BIDEN. IL “SUPERTUESDAY” INCORONA TRUMP. Il “super martedì” di primarie elettorali è andato anche meglio delle aspettative, per Donald Trump. Nikki Haley ha preso solo 43 delegati nei nove Stati Usa in cui si è votato, mentre l’ex presidente 764. La sfidante, che non ha mai rappresentato una minaccia reale per il tycoon, si ritira dalla corsa, ma per il momento non farà un endorsement per Trump. Dopo il supertuesday ormai è certo che la sfida presidenziale di novembre sarà ancora una volta tra Biden e Trump (anche Joe ha stravinto le primarie di ieri nel campo democratico). Un bel dilemma per tanti, ma anche Giorgia Meloni. La premier italiana, infatti, da leader di Fratelli d’Italia ha sempre sostenuto Trump e attaccato le politiche dei dem americani. Nel 2020 diceva che una vittoria di Trump sarebbe stata “auspicabile per gli interessi nazionali italiani”. Invece da quando è presidente del Consiglio ha stretto un rapporto molto forte con Biden, nel quadro della Nato e delle scelte geopolitiche su Ucraina e Medio Oriente. Tanto che la tv trumpiana Fox News l’ha definita “la cocca di Biden”. E oggi il teorico sovranista Steve Bannon, che prima la portava in palmo, ha detto di essere deluso da lei. Parallelamente, Meloni è al centro di una partita politica anche in chiave europea. Il Partito popolare, che oggi ha cominciato il congresso, ha presentato un manifesto molto a destra, che rinnega la svolta del Green deal e propone una linea dura sui flussi migratori. Questo nell’ottica di aprire le porte della maggioranza Ursula ai Conservatori Europei, formazione di destra di cui la premier italiana è leader. E se il Ppe si sposta a destra, Meloni è tirata verso il centro. Come uscirà Meloni dall’impasse? Sul Fatto di domani ne discuteremo con lo storico Franco Cardini.


ACCESSI ABUSIVI ALLE SOS, IL PM MELILLO ALL’ANTIMAFIA: “DIFFICILMENTE FRUTTO DI DEVIAZIONE INDIVIDUALE. C’È UN MERCATO DELLE INFORMAZIONI RISERVATE”. L’inchiesta di Perugia su migliaia di accessi abusivi al database dell’Antimafia sulle segnalazioni di operazioni sospette viene usato dalla destra per colpire non solo gli avversari politici e la stampa, ma anche la stessa Antimafia. Del resto, la stessa Meloni ha parlato di “regime”, e la destra si è scatenata. Anche contro i giornali, come dimostra l’ennesimo emendamento bavaglio proposto oggi da Enrico Costa di Azione. “Bisogna capire chi è il regista” dell’operazione, dice oggi Antonio Tajani, tra gli altri. La commissione parlamentare Antimafia, presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo, ha convocato in audizione i procuratori Giovanni Melillo e Raffaele Cantone. Il primo è stato sentito oggi pomeriggio, il secondo sarà sentito domani. Sempre domani gli stessi magistrati saranno ascoltati anche dal Copasir, l’organo parlamentare che si occupa di servizi e sicurezza. Davanti ai parlamentari Melillo ha attaccato le ­“polemiche scomposte che sembrano mirare a incrinare l’immagine dell’ufficio e a delegittimare l’idea di istituzioni neutrali come la Procura nazionale antimafia e magari anche la Banca d’Italia”. Però, nel merito ritiene che le condotte di Striano (il finanziere che faceva i migliaia di accessi contestati) siano “difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale” e che occorra “comprendere la figura e il sistema di relazioni di Striano”. E poi ha aggiunto che “c’è un mercato delle informazioni riservate”. Dichiarazioni che non parlano di “regia” come fa il centrodestra, ma puntano comunque il dito contro effetti di sistema. Le opposizioni sono d’accordo a difendere il lavoro della procura antimafia dall’ennesimo assalto della destra, ma con sfumature diverse. Nel Pd, se Walter Verini, che è membro della commissione presieduta da Colosimo, ribalta le accuse e dice di non poter escludere “regolamenti di conti interni alla destra in questa cosa”, Elly Schlein ha giudicato di una “gravità inaudita” quella che ha definito “la schedatura illegittima di centinaia di persone”. Il M5S invece ha la linea di Scarpinato, quella delle “deviazioni” individuali. Sul Fatto di domani approfondiremo il contesto e il senso delle affermazioni di Melillo.


ISRAELE, ALTRA TEGOLA PER NETANYAHU: “STRAGE DI ORTODOSSI FU SUA RESPONSABILITÀ”. USA, 30 DEPUTATI DEM A BIDEN: STOP AIUTI MILITARI SE IL PREMIER AVVIA L’OPERAZIONE A RAFAH. C’è un filo sottile che collega la tragedia del Monte Meron in Israele, alla strage del 7 ottobre firmata da Hamas; ed è rappresentato dall’incapacità del premier Netanyahu – sostengono i suoi oppositori – di assumersi le responsabilità dinanzi ai fallimenti. Una commissione di inchiesta ritiene che sia del primo ministro la “responsabilità personale” per la strage avvenuta nell’aprile 2021 durante una celebrazione sul Monte Meron in Galilea: morirono nella calca 45 ortodossi, centinaia i feriti. Sebbene la commissione non chieda le dimissioni di Netanyahu, la conclusione a cui si è giunti fa crescere in dibattito in Israele sul leader della destra israeliana, che non intende dimettersi o andare al voto, sebbene una parte del mondo politico e della società lo ritenga colpevole per l’attacco subito il 7 ottobre da parte degli islamisti, che ha causato 1.200 morti e la cattura di centinaia di ostaggi, ed ha poi determinato la guerra nella Striscia, giunta al 152° giorno. Netanyahu fa orecchie da mercante alle critiche e continua a sostenere che l’esercito deve operare a Rafah, dove si sono ammassati più di un milione di civili palestinesi, e fra loro, anche i battaglioni di Hamas. Una scelta che gli Stati Uniti, con evidenti contrasti tra Biden e Netanyahu, hanno già bocciato proprio perché non ci sono garanzie per i gazawi; a conferma, oltre 30 deputati dem hanno scritto una lettera al presidente Biden ammonendo che un’invasione israeliana di Rafah potrebbe violare una regola fondamentale: quella che gli aiuti militari americani devono essere concessi in conformità con il diritto internazionale. Al Cairo, proseguono le trattative per giungere ad una tregua prima del 10 marzo, inizio del Ramadan. Hamas continua a chiedere la liberazione di leader palestinesi detenuti e tra loro ci sarebbe anche Marwan Barghouti, che guidò la prima e la seconda Intifada.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Manganelli, il governo si schiera con i duri. I sindacati di ps: “Daspo per i manifestanti”. Nell’incontro con i sindacati di polizia a Palazzo Chigi, la premier ha giudicato le critiche sui manganelli di Pisa e Firenze “un’ingiusta denigrazione delle forze dell’ordine”. I sindacati di Polizia hanno comunicato che il governo sta valutando un Daspo per i manifestanti violenti. Intanto oggi, sempre a Roma, un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine ha accolto un’iniziativa di artisti in sostegno del centro culturale Officina Pasolini. Sul Fatto di domani leggerete il nostro reportage.

Sgarbi, udienza del Tar rinviata. Il tribunale amministrativo deciderà direttamente sul merito dell’incompatibilità dell’ex sottosegretario alla cultura stabilita dall’Antitrust il 31 gennaio. L’udienza però sarà calendarizzata “entro l’estate”.

Usa, al discorso di Biden ci sarà la vedova di Navalny e lady Zelensky rifiuta l’invito. Olena Zelenska ha declinato l’invito della Casa Bianca: non ci sarà al discorso sullo Stato dell’Unione che Joe Biden terrà domani. Il motivo, secondo il Washington Post, è da ricondurre alla presenza di Yulia Navalnya, la vedova di Alexei Navalny. Sebbene si tratti di due donne che si oppongono al presidente russo Vladimir Putin, una differenza c’è: Kiev non dimentica che Navalny, anche da avversario del Cremlino, nel 2014 non aveva condannato l’annessione della Crimea da parte di Mosca.

Guerra Russia-Ucraina, droni russi attaccano durante l’incontro tra Zelensky e il presidente greco Mitsotakis. “Abbiamo sentito il suono delle sirene dei raid aerei e delle esplosioni molto vicino a noi. Non abbiamo avuto il tempo di andare nei rifugi. Un’esperienza impressionante”. Così il presidente greco Mitsotakis ha raccontato quanto è avvenuto oggi a Odessa, durante il suo incontro con il presidente ucraino Zelensky. Secondo fonti di Kiev l’attacco russo ha provocato 5 morti. Mosca ha affermato che l’obiettivo era un hangar militare.


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