Riforme

Il governo fondato sui condoni: sedici mesi di regali agli evasori

Quanti favori - Rottamazioni, concordati, agevolazioni: nel sistema “più equo e giusto” di Meloni conviene non pagare

4 Marzo 2024

In principio, come sempre, fu il condono. In grande stile. Novembre 2022: Giorgia Meloni firma la sua prima legge di Bilancio e dentro ci sono una dozzina tra sanatorie e definizioni agevolate. Nei successivi 15 mesi, via via che il governo ha dato attuazione alla delega fiscale approvata in agosto, la lista dei favori agli evasori si è allungata. L’ultimo tassello, per ora, è il decreto che taglia le sanzioni e garantisce la non punibilità penale a chi accetta di pagare a rate. Per il viceministro con delega al fisco, Maurizio Leo, sono le tappe di un piano per rendere il fisco “più equo e giusto”. Ma il messaggio che arriva ai contribuenti, nel Paese in cui l’evasione è un fenomeno di massa, è ben diverso: non versare il dovuto conviene. Per chi può, è la scelta più razionale.

Ripartiamo dall’inizio. Poco dopo la vittoria elettorale la maggioranza di destra ha tradotto in pratica una delle periodiche promesse di Matteo Salvini: l’ennesima pace fiscale. I condoni in Italia sono tradizione bipartisan, ma il set di opzioni apparecchiato in questo caso ha pochi precedenti: dallo stralcio delle cartelle sotto i 1.000 euro alla definizione agevolata degli avvisi bonari, dalla rottamazione quater con abbuono di aggio, sanzioni e interessi alla chiusura delle liti pendenti nei vari gradi di giudizio. Aggiungendo anche lo spalma-debiti delle società sportive e la regolarizzazione delle criptovalute si arriva a una dozzina di misure che il testo della manovra definisce “di sostegno al contribuente”. Peccato che a perderci sia il fisco. Perché l’altra metà della promessa salviniana – “decine di miliardi di incassi” – non si è avverata. Se è vero che da queste misure lo Stato qualcosa ricava, le condizioni di favore offerte per incentivare l’adesione comportano la rinuncia a cifre enormi: stando alla relazione tecnica almeno 3,5 miliardi, 1,4 al netto dei maggiori introiti.

Per capire quanto dannoso sia il pacchetto prendiamo uno degli interventi all’apparenza più innocui, la rottamazione. Che male c’è nel tendere la mano a chi ha dichiarato ma non versato e accetta di farlo a rate? Il fatto è che buona parte dei milioni di contribuenti che aderiscono smette presto di rispettare le scadenze stabilite. Di fatto, dice la Corte dei Conti, usa l’agenzia della riscossione come una finanziaria che fa credito a tasso zero e senza pretendere garanzie. Per molte aziende è diventato un modus operandi: pagano dipendenti e fornitori, magari distribuiscono pure i dividendi ai soci e poi, se la liquidità è agli sgoccioli, invece che chiedere un prestito “risparmiano” sulle tasse. Il risultato è che l’incasso finale si ferma sempre molto sotto l’introito preventivato: è successo con le rottamazioni di Renzi, Gentiloni e del Conte 1, sta succedendo con quella di Meloni. Lo scorso anno sono mancati all’appello 5,4 miliardi su 11,9 attesi. Falso anche che queste misure siano preziose per svuotare il magazzino delle cartelle non riscosse: le prime tre tornate l’hanno ridotto solo di 30 miliardi. Su un totale che oggi ha raggiunto quota 1.200 miliardi.

Avanti di qualche mese: a marzo il governo approva il ddl delega per la riforma del fisco, che prevede tra l’altro (ci torneremo) il concordato preventivo biennale con le partite Iva. Due settimane dopo infila a sorpresa nel decreto Bollette una nuova causa di non punibilità fino al giudizio di appello per chi non ha versato oltre 150mila euro di ritenute e 250mila di Iva. Se rateizza il debito – dopo essere stato scoperto e condannato in primo grado – il processo va al macero. Uno scudo penale allargato che tributaristi e magistrati, in audizione, bocciano senza appello definendolo “messaggio criminogeno”. Meloni e Leo tirano dritto. A fine maggio la premier, chiudendo la campagna elettorale per le comunali in Sicilia, dà la sua lettura della lotta all’evasione: insistere perché i “piccoli” versino il dovuto equivale a chiedere un “pizzo di Stato”.

In agosto il Parlamento vota la delega e parte la corsa al varo dei decreti attuativi. In autunno c’è l’ok a quello sull’adempimento collaborativo, un regime di interlocuzione preventiva con le Entrate riservato finora ai grandi gruppi: il governo, oltre a prevedere di allargarlo anche alle medie aziende, si inventa per tutte le altre un “regime opzionale”. Basta che adottino un sistema di rilevazione e controllo dei rischi fiscali “certificato da professionisti indipendenti”, leggi commercialisti e avvocati. Si appaltano ai privati controlli da cui dipenderà la concessione di benefici sostanziali come la non punibilità per la dichiarazione infedele.

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Con l’anno nuovo arriva il via libera definitivo a una delle misure bandiera, il concordato preventivo per piccole imprese e lavoratori autonomi. In pratica l’Agenzia proporrà loro un reddito presunto su cui pagare le tasse nei due anni successivi e non potrà pretendere nulla di più nel caso in cui i ricavi effettivi siano superiori. Leo, che aveva rivendicato la scelta di consentire l’accesso solo ai contribuenti con buone pagelle fiscali (gli indicatori Isa), smentisce se stesso. Accogliendo una richiesta arrivata dalla maggioranza durante il passaggio parlamentare, elimina il requisito. La nuova opzione sarà aperta anche a chi ha un punteggio bassissimo: probabili evasori, che dichiarano decine di migliaia di euro in meno rispetto ai virtuosi. Così il maggior gettito atteso prima della modifica – 1,8 miliardi stando alla relazione tecnica – si azzera. Le proposte del fisco arriveranno entro metà ottobre: molti addetti ai lavori temono che saranno “morbide” per evitare il flop della misura. In quel caso il nuovo strumento si tradurrà in un condono preventivo. Di sicuro, per ora, c’è il fatto che il testo del decreto quantifica una “modica quantità di evasione” considerata ammissibile: chi occulta meno del 30% del dichiarato, infatti, non decadrà dal concordato.

L’ultimo regalo – per ora – è il decreto sul sistema sanzionatorio. La bozza esaminata in Consiglio dei ministri riduce le sanzioni amministrative, con l’eccezione dei casi di frode e violazioni reiterate, e depenalizza l’omesso versamento di Iva e ritenute – oggi punito con la reclusione da sei mesi a due anni – quando il debito è “in corso di estinzione mediante pagamenti rateali”. Si estende insomma il beneficio offerto col decreto Bollette ai condannati in primo grado. Tra l’altro, chi smette di ottemperare resterà non punibile nel caso tenga per sé meno di 50mila euro di ritenute e 75mila di Iva. Novità che rendono ancora più “razionale” non pagare per poi rateizzare. Tanto più che, salvo eccezioni, chi sta estinguendo il debito a rate non sarà più soggetto al sequestro dei beni.

Manca ancora all’appello un altro provvedimento delicato, quello di riforma della riscossione. Per prevenire l’accumulo di milioni di cartelle inesigibili il governo vuol prevedere la restituzione automatica delle quote non riscosse al creditore (Entrate o altri enti) a 5 anni dall’affidamento, fatte salve quelle per cui è in corso qualche forma di recupero. Ma dovrebbe valere solo per il futuro. E 1.200 miliardi pregressi? La tentazione sarà quella di fare tabula rasa: una nuova sanatoria.

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