L’intervista

Lo psicoanalista Thanopulos: “Sulla pelle dei bimbi trans si testa l’industria della trasformazione”

Il Presidente della SPI - “Il metodo affermativo non permette una diagnosi differenziale”

Di Maddalena Oliva e Natascia Ronchetti
1 Febbraio 2024

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Un anno fa, attirandosi non poche critiche, ha scritto alla premier Giorgia Meloni, al ministro della Salute Orazio Schillaci e al presidente di Aifa, per esprimere grande preoccupazione per l’uso dei farmaci “bloccanti ipotalamici”, come la triptorelina, nei minori che manifestano disforia di genere e chiedere una rigorosa discussione scientifica sul modello clinico affermativo, prevalente nei centri specializzati in Italia. È Sarantis Thanopulos, presidente della Spi-Società psicoanalitica italiana, la principale associazione che riunisce gli psicanalisti italiani. “L’intento mio e dei miei colleghi, dopo esserci documentati sulle linee guida internazionali, era ed è quello di affrontare la questione non in termini di contrapposizione ma di riflessione”, dice Thanopulos. “Le tante voci critiche, però, con difficoltà entrano nel merito”.

Professore Thanopulos, da dove nasce la sua preoccupazione?

La pubertà è un processo di trasformazione molto forte – dal corpo neutro al corpo sessualizzato – che nei bambini e bambine può generare grosse difficoltà. Ma è un processo fondamentale per l’acquisizione dell’identità sessuale e dell’identità di adulto. Sappiamo che solo una minima percentuale dei minori con disforia di genere conferma l’incongruenza nell’adolescenza. E che il nostro corpo ha una plasticità, conserva una parte maschile e una parte femminile. Se blocchi lo sviluppo puberale non crei un uomo o una donna: per arrivare all’acquisizione di una identità di genere la pubertà deve essere vissuta. E bloccarla ha delle controindicazioni: non porta per esempio a un’evoluzione che riguardi anche la sfera della soddisfazione sessuale. Inoltre a volte si possono confondere depressione, psicosi, disturbi dello spettro autistico, ansia o ideazioni suicidarie con questa condizione. Un percorso che porta alla transizione prima che questa si sia compiuta e stabilizzata psichicamente è rischioso. Porta a modifiche del proprio corpo delle quali ci si può pentire.

La sua è una riflessione distante dall’approccio affermativo…

Nella disforia di genere non può valere l’affermazione soggettiva. Non puoi basarti solo su quello che dice il minore. Se ti limiti ad accettare la sua autodefinizione non puoi fare una diagnosi differenziale. Il modello affermativo è molto lontano dal modello psicoanalitico, che deve creare uno spazio di elaborazione di idee, pensieri, vissuto, emozioni per arrivare a una scelta matura e non predeterminata. Noi psicoanalisti procediamo con estrema prudenza. Il punto è che la questione è infiltrata dall’ideologia. Sta passando l’idea che con un trattamento medico puoi diventare altro. Siamo di fronte a una tendenza all’industria della trasformazione, sorretta anche da interessi economici molto forti da parte delle case farmaceutiche, che minaccia l’equilibrio delle nostre relazioni.

È per questo che i Paesi del nord Europa stanno facendo retromarcia?

Sì, stanno abbandonando il modello affermativo e l’uso dei bloccanti della pubertà. In Svezia soprattutto prevale oggi una visione critica basata su valutazioni di carattere medico che riguardano anche lo sviluppo del sistema nervoso centrale.

Ma questa industria della trasformazione, come la definisce lei, a quali rischi potrebbe esporre?

Può portare a degli estremismi, come quello dell’Università di Angers, in Francia, dove le studentesse non devono più definirsi donne ma “persone mestruate”. Si sposta l’attenzione dal piacere a una funzione fisiologica del corpo. E in questo c’è anche un attacco alla sessualità femminile. Siamo di fronte a una cattiva religione per costruire nuove categorie di essere umani. Affrontiamo il tema delle persone transgender come fossero piloti di una nuova umanità, invece di combattere lo stigma e la discriminazione di cui ancora oggi sono vittime.

E intanto noi siamo fermi alla legge 164 del 1982…

Sì, la normativa dovrebbe consentire il cambio di sesso senza transizione ormonale e chirurgica. Sarebbe un atto di grande civiltà.

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