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Ecco il tesoro perso da Milano, paradiso fiscale (immobiliare)

22 Dicembre 2023

“Non ci sono soldi”. È la risposta pronta per tutte le domande rivolte al sindaco Giuseppe Sala e alla sua amministrazione, quando la richiesta è un maggior impegno del Comune di Milano per i servizi pubblici e per contrastare le privatizzazioni e la “londrizzazione” della città, che espelle i poveri e impoverisce anche il ceto medio.

Ristrutturare i centri sportivi e le piscine pubbliche? Non ci sono soldi, meglio farli gestire dai privati. Risanare le case popolari sfitte e assegnarle a chi ne ha bisogno o, addirittura (brivido!), costruirne di nuove? Non ci sono i soldi, dobbiamo fare accordi con i costruttori privati. Salvare la scuola media Vivaio, eccellenza pubblica ed esempio d’inclusione? Non ci sono i soldi, dobbiamo deportarla in un edificio manifestamente inadeguato. La litania potrebbe continuare all’infinito.

Ora due guastafeste che amano Milano e non sopportano di vederla conciata così, Gabriele Mariani e Patrizia Bedori, insieme a un gruppo di cittadini con gli occhi aperti e a un avvocato generoso e competente, Veronica Dini, hanno scoperto che “i soldi ci sono”, o almeno ci sarebbero, ma non sono stati raccolti dal Comune. Hanno individuato un tesoretto di quasi 108 milioni di euro (per la precisione: 107.631.483,32 euro) che non è stato incassato dal Comune. E hanno presentato un ricorso alla Procura della Corte dei conti, perché appuri se è stato arrecato un danno alle casse pubbliche e se ci sono responsabilità: del sindaco, dei suoi assessori, dei consiglieri comunali, dei dirigenti, dei funzionari.

Che cos’è questo tesoretto scomparso, che sarebbe stato utile per ristrutturare piscine e case popolari e magari anche per salvare la scuola Vivaio? È il buco degli oneri d’urbanizzazione. Chi costruisce usa un bene pubblico, lo spazio urbano. Deve dunque restituire ai cittadini una parte del valore prodotto dal suo investimento: sono gli oneri d’urbanizzazione; primaria (cioè il contributo per opere come strade, fognature, reti di acqua e gas) e secondaria (per costruire asili, scuole, mercati di quartiere).

A Milano gli oneri (sotto il 5% del valore dell’immobile costruito) erano i più bassi d’Europa (a Berlino sono attorno al 30%, in Francia sui progetti maggiori sono il 15%). Così bassi da rendere sì “attrattiva” la città, richiamando investimenti nazionali e internazionali, ma nella stessa maniera con cui il regime fiscale “leggero” attrae le imprese in Olanda o in Irlanda. Senza poi distribuire benefici ai milanesi. Anzi: premiando la rendita e consolidando una “città premium” (secondo la illuminante definizione di Dario Di Vico) che esclude molti di coloro che vivono del loro lavoro e della loro creatività. Insomma: Milano è stata trasformata nel paradiso fiscale della rendita immobiliare, come già aveva argomentato su lavoce.info Roberto Camagni, indimenticato docente di Economia urbana al Politecnico di Milano. E continua a essere un paradiso fiscale, malgrado i cauti adeguamenti annunciati la primavera scorsa.

Non basta: malgrado gli “oneri alla milanese” siano così bassi, in più non sono stati neppure adeguati agli indici Istat (+36,3% in questi anni), come prevede una legge che impone aggiornamenti ogni tre anni. Milano non li ha fatti. L’ultimo adeguamento è del dicembre 2007. Poi sono saltati quelli che dovevano essere realizzati nel 2010, nel 2013, nel 2016, nel 2019. Mariani e gli altri si sono messi a fare i calcoli matematici di quanto la città ha perso in questi anni, dal gennaio 2011 al 31 dicembre 2022: poco meno di 108 milioni lasciati ai costruttori (che oggi piagnucolano per il nuovo Pgt).

Ora sarà la Corte dei conti a stabilire se c’è stato un danno alla città e, se sì, chi dovrà pagare. Questa ci sembra una notizia, per la città “locomotiva d’Italia”. Ma i giornali (tranne il Fatto) non l’hanno ritenuta degna di pubblicazione.

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