Schlein abbia coraggio: basta con l’atlantismo

14 Dicembre 2023

Elly Schlein è una cittadina italiana che porta il cognome ebraico del padre dal quale ha ereditato anche un passaporto svizzero e uno statunitense, oltre che una buona conoscenza delle lingue e una visione del mondo non provinciale. Insieme al nome difficile da pronunciare, questi tratti biografici le nuocciono agli occhi di chi si attarda in una retorica anacronistica dell’amor di patria e considera il cosmopolitismo una minaccia.

Trovo al contrario che oggi, nel drammatico volta pagina degli equilibri mondiali, proprio la biografia di Schlein possa giovarle nell’imprimere una svolta necessaria alla politica estera del Pd. Nessuno potrà accusarla di antisemitismo se chiederà al nostro governo una condanna netta dell’azione criminale dissennata condotta da Israele nella striscia di Gaza per volontà di Netanyahu, partner prediletto di Giorgia Meloni. E nessuno potrà imputare di antiamericanismo lei, che ha nel suo curriculum una campagna elettorale in sostegno di Obama, se chiederà agli Usa di porre fine alla politica di riarmo senza sbocchi in Ucraina come in Medio Oriente. Col suo profilo inconfondibile di occidentale progressista, è lecito attendersi da Elly Schlein uno sforzo ambizioso: impegnare il suo partito nella ricerca di una collocazione autonoma dell’Europa dentro al mondo multipolare, affinché venga accompagnato pacificamente anche il venir meno dell’egemonia americana.

Certo fa impressione sentir annunciare proprio dal ministro degli Esteri russo, Serghej Lavrov, la fine di “500 anni di dominio occidentale”. Quasi che la Russia nazionalista e militarista di Putin potesse rappresentarne la civiltà alternativa. Tanto più che quelle parole Lavrov le ha pronunciate in un forum a Doha, capitale del Qatar, cioè una di quelle ricchissime petromonarchie semifeudali che in spregio alla democrazia impastano finanza e puritanesimo islamico al fine di imporsi come nuova potenza oppressiva e dominante. Stiamo parlando degli “uomini forti” della nuova destra mondiale, con i quali, non a caso, anche la destra israeliana ha cercato di stringere rapporti prima di subire l’assalto del 7 ottobre a opera di un’altra formazione reazionaria della stessa pasta: Hamas.

Sia detto per inciso: se un precedente vogliamo trovare alla scelta di Netanyahu di distruggere Gaza, incurante della spaventosa strage di civili che ciò implica, è proprio al modello Putin che dobbiamo guardare: prima con la carneficina di Grozny in Cecenia; poi col bombardamento di Aleppo in Siria; e infine, ma con maggior cautela in Ucraina. Queste destre si rispecchiano nel culto della forza militare spinto oltre ogni limite. Lo stesso Netanyahu, nel suo piccolo, somiglia sempre più a Putin ora che ha imboccato un percorso criminoso di sopravvivenza personale. È per l’appunto nella ricerca di un’alternativa pacifica – finora negata dagli Usa e dai vertici Ue, quasi che la guerra fosse un destino ineluttabile per la difesa dei “valori occidentali” – che il Pd di Schlein può ritrovare una sua funzione. A cominciare dal riconoscere che quei “valori occidentali” sono stati calpestati proprio da chi usa vantarsene paladino. Da ultimo Israele, nazione che per ragioni storiche, morali e geopolitiche non può smettere di starci a cuore, ma che in assenza di un netto cambiamento di rotta è prossima a compromettere definitivamente la sua reputazione.

Già sentiamo fioccare le accuse di tradimento e di viltà rivolte a chi chiede il cessate il fuoco, avendo smesso di illudersi che l’odio generato dalle guerre possa dar luogo a una pace giusta. Non mancheranno poi le accuse di slealtà qualora il Pd faccia suo il proposito di una revisione delle funzioni della Nato e di una maggiore autonomia nei rapporti transatlantici. Ma è così, e solo così, che il campo democratico potrà impersonare in Italia una vera alternativa alla destra, condannata dalla sua disonorevole vicenda novecentesca a cercare legittimazione nella sola sudditanza atlantica. E condannata altresì ad alimentare involontariamente il nuovo antisemitismo (cioè la colpa dalla quale vorrebbe emendarsi) vincolando la sorte del popolo ebraico e di Israele al futuro senza sbocchi del sionismo di destra, etnocentrico e messianico.

Il Pd non può accontentarsi, lo capisco, di autodefinirsi genericamente pacifista. Ma l’aver sbandierato per due anni la bandiera dell’atlantismo, come se in quell’alleanza militare risiedessero i nostri valori, lo ha condannato all’irrilevanza. Misurarsi con la necessità di un nuovo ordine mondiale, capace di armonizzare al suo interno il declino della supremazia occidentale senza rinunciare ai valori della laicità, della democrazia e della convivenza pacifica, è l’atto di coraggio che oggi si rende necessario.

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