Imprenditrice

Santanchè sfrecciava in Maserati e i dipendenti erano senza paga

Visibilia, lo scandalo della ministra - Il contratto per un appartamento al Pantheon e quello per un’auto di lusso scaricati su Visibilia già in crisi

Di Nicola Borzi e Thomas Mackinson Icons/ascolta
28 Giugno 2023

Ai dipendenti che non licenziava chiedeva “sacrifici”, ai fornitori che non pagava d’aver pazienza. Intanto, lei sfrecciava su una Maserati grigia da 77mila euro. E i costi della fuoriserie li caricava per intero sui bilanci di Visibilia Editore Spa, una delle società al centro dell’inchiesta che ha travolto la ministra Daniela Santanchè. Idem per un appartamento-ufficio che aveva affittato personalmente in via della Rotonda a Roma, dietro il Pantheon, per farne la redazione di Ciak, testata rilevata dalla Mondadori di Berlusconi per due lire. L’immobile veniva poi sublocato da lei a Visibilia con un canone da 19.200 euro più spese. Gli unici due giornalisti assunti rimasti dopo la “cura Santanchè” non ci hanno mai messo piede, dubitano da allora che fosse realmente operativa. Non sono le cifre a impressionare, nulla spostano dell’inchiesta. Ma rievocano le parole affidate a Repubblica dal politico che la scoprì, Paolo Cirino Pomicino: “Dovrebbe dimettersi. Non conosce vergogna”.

Dal 2014 la galassia Visibilia iniziava ad accumulare debiti. Al volante c’era lei: amministratrice unica di Visibilia Srl e presidente di Visibilia Editore Spa. Bilanci inattendibili, “irregolarità estremamente significative” e deficit “occultato”, si legge ora nella perizia sul gruppo affidata dai pm a Nicola Pecchiari, commercialista e docente della Bocconi. Da quell’anno per esempio, Visibilia Editore Spa, aveva messo a consuntivo “perdite significative, evidenziando risultati negativi già a livello di reddito operativo”. I conti simulavano un apparente stato di salute e lei poteva incassare emolumenti da 130mila euro lordi.

Oggi chiede al Fisco lo sconto di un terzo dei debiti per evitare il fallimento, allora non badava a spese. Che viaggiasse in Maserati venne fuori solo nel 2017, quando il suo autista fu fermato dai vigili di Milano per aver bruciato un rosso in via Larga: una sirena e due lampeggianti abusivi (non era più ministra ormai da tre anni) imposero il fermo amministrativo del veicolo.

Il Fatto oggi può documentare il costo della fuoriserie e chi lo pagava: il 25 novembre 2014 l’imprenditrice, allora deputata di Forza Italia, aveva stipulato un contratto con la concessionaria ufficiale Ferrari-Maserati “Rosso Corsa” di Milano per una Quattroporte My 2014. Il modello già lo dice: era praticamente nuova, il tachimetro segnava 8mila km. La restituirà nel 2019 con 150mila di più. Il contratto di leasing prevedeva un costo di 77mila euro, da pagare in 48 rate, oltre a spese assicurative per 8.200 euro e formula “Kasco Top” da 7.193. A firmarlo è la signora Garnero Santanchè, ma a pagare è Visibilia Editore Spa, sede legale in via del Quirinale a Roma, sede operativa in via Senato 8 a Milano.

Ma le sedi cambiano, e tra i contratti firmati da Santanchè, sempre con accollo a Visibilia, ce n’è uno finito al centro di due vertenze: l’immobile in via della Rotonda 4, a 500 metri dal Senato, dove all’epoca era capogruppo di FdI. Il contratto da 19.200 euro l’anno, più 400 di spese, venne registrato a suo nome il 21 ottobre 2019, tre settimane dopo fu integrato da un’appendice: il conduttore acconsentiva alla locatrice la sublocazione a Visibilia Editore Spa.

Quell’immobile in pieno centro, al piano quarto, interno 5, ha una storia singolare che si rintraccia nelle conciliazioni degli ex dipendenti, che lì avrebbero dovuto trasferirsi d’imperio, della Santanchè: trasferimento annunciato il 28 novembre 2019 ed effettivo dal 2 gennaio 2020. Un mese di tempo, festività natalizie incluse, per cambiare vita senza alcun aiuto dall’azienda (salvo quello modesto previsto dal contratto giornalistico) che oltretutto intendeva comunque prolungare i contratti di solidarietà al 30% in essere da anni. L’alternativa per restare a Milano? Decurtarsi lo stipendio del 40%.

I due giornalisti si sono così visti costretti a dar le dimissioni, ricevendo il pagamento delle spettanze di fine rapporto in 6 comode rate, visto lo stato in cui – secondo l’editore – versava l’azienda.

Alla fine han fatto causa alla Santanchè per ottenere, tra le altre cose, il pagamento dei contributi per la pensione complementare mai versati, nonostante le plurime rateizzazioni in 18 mesi accordate (ma mai onorate), le indennità di trasferta non riconosciute. E pure i giorni di solidarietà lavorati, che anziché essere regolarmente pagati in busta paga, venivano informalmente conteggiati come “recupero ferie”. Trattamento che ricorda quello di un altro dipendente di cui Il Fatto ha scritto a novembre: risultava in Cassa Covid a zero ore, grazie agli aiuti Inps, ma continuava a lavorare per l’azienda della ministra. Quando si dice, “senza vergogna”.

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