Autorità bacino del Po. Il 40% delle risorse mangiato dal governo

L’ultima legge di Stabilità taglia i finanziamenti all’ente che gestisce la sicurezza idrogeologica nel Nord Italia. Il ministero: “Soldi redistribuiti”

Il governo guidato da Giorgia Meloni ha tagliato, nell’ambito della legge di Stabilità approvata a dicembre scorso, il 40% dei fondi assegnati annualmente all’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, l’ente interregionale che si occupa, tra le altre cose, della sicurezza idrogeologica di tutto il Nord Italia e, dunque, anche delle aree colpite dall’alluvione in […]

oppure

Il governo guidato da Giorgia Meloni ha tagliato, nell’ambito della legge di Stabilità approvata a dicembre scorso, il 40% dei fondi assegnati annualmente all’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po, l’ente interregionale che si occupa, tra le altre cose, della sicurezza idrogeologica di tutto il Nord Italia e, dunque, anche delle aree colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. L’Autorità dipende direttamente dal ministero de- ll’Ambiente. La drastica riduzione dei fondi ha portato nelle casse della struttura governativa ben 4 milioni di euro in meno rispetto al 2022, riducendo le entrate correnti dell’Authority dai 10 milioni dello scorso anno ai 6 milioni con cui sta affrontando il 2023. Un colpo d’ascia inatteso, tanto che la bozza interna di bilancio di previsione è rimasta sospesa in attesa di chiarimenti mai giunti dal ministero. Si parla, va ben specificato, dell’organismo che programma e indica gli interventi da effettuare nel territorio, né traccia i criteri di salvaguardia e ripristino. Dunque il taglio riguarda i soldi che servono per il funzionamento di questo “cervello” composto – in numero già insufficiente – da professionisti ed esperti, non dei fondi destinati ai lavori di manutenzione, gestiti quelli dalle singole Regioni.

Dal 2017 l’Autorità del Fiume Po ha inglobato anche l’ex Autorità dei bacini regionali romagnoli e quella del fiume Reno, competenti sulle zone attualmente alluvionate della Romagna e di parte dell’Emilia. Ne è derivato un allargamento esponenziale del bacino idrografico, che ora interessa un territorio vastissimo che va dalla Valle d’Aosta al Veneto fin giù alle zone più a nord di Toscana e Marche, dopo aver “sconfinato” pure in Francia e Svizzera. Il 19 aprile 2023, durante una riunione della conferenza istituzionale permanente, il segretario generale dell’Autorità, Alessandro Bratti, avvisava la viceministra all’Ambiente, Vannia Gava – presente all’incontro – che il taglio governativo avrebbe comportato “l’azzeramento degli stanziamenti per gli studi sul territorio, i servizi specialistici e le convenzioni scientifiche necessari per l’attività istituzionale di pianificazione”, oltre a rendere “non sostenibile – si legge nel verbale di cui Il Fatto è in possesso – la spesa per l’ordinaria gestione dell’Ente”, compresi i “costi per gli organi, per il personale, per utenze e sedi”. Un salasso in piena regola, secondo la visione dell’ente. Nelle comunicazioni di Bratti a Gava vi sono elencate anche quelle “progettualità” che rischiano lo stop: tra queste “gli studi specialistici a supporto dell’aggiornamento Pai (Piano Assetto Idrogeologico, ndr) dei bacini Reno, bacini romagnoli e Conca Marecchia”, ovvero le zone rimaste in questi giorni in ginocchio. Il Pai, che l’Autorità realizza insieme alle regioni, prevede pianificazioni come il “quadro degli interventi strutturali a carattere intensivo sui versanti e sui corsi d’acqua” e “gli indirizzi e dalle limitazioni d’uso del suolo nelle aree a rischio idraulico e idrogeologico”, tra cui “la delimitazione delle fasce fluviali sui corsi d’acqua principali del bacino”. Si tratta di una programmazione fondamentale per provare a prevenire fenomeni come quelli che hanno colpito in questi giorni l’Emilia-Romagna.

Il Fatto ha chiesto chiarimenti al ministero dell’Ambiente sulle ragioni che hanno portato al taglio dei fondi. Il dicastero guidato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin fa sapere che la redistribuzione delle risorse avrebbe “risolto l’assenza di fondi per i restanti 2/3 del Paese, riconoscendo ulteriori finanziamenti a tutte le AdB (quindi per tutto il territorio nazionale) per consentire l’assunzione della nuova dotazione organica prevista dai medesimi Enti”. Tradotto: parte dei soldi di solito assegnati al Po sono stati utilizzati per soddisfare le esigenze, anche di personale, delle altre sei Autorità di bacino italiane (Alpi orientali, Appennino settentrionale, Appennino centrale, Appennino meridionale, Sardegna e Sicilia).

Non è tutto. Il ministero, nella nota inviata al Fatto, lamenta da parte dell’Autorità del Fiume Po anche una non meglio specificata “difficoltà gestionale”, che non avrebbe “consentito di sottoporre ancora alla Conferenza istituzionale permanente il bilancio per l’anno 2023 con i finanziamenti resi disponibile” e dunque di “prevedere le successive assunzioni di personale da autorizzare da parte dell’Ente vigilante (Mase)”. Contattato telefonicamente, il segretario generale Bratti conferma il contenuto del verbale ma, sulla presunta “difficoltà gestionale”, replica: “I bilanci sono in ordine, non c’è alcuna difficoltà gestionale. Esiste solo un taglio dei fondi. Il ministero non ha mai risposto nonostante i ripetuti solleciti di questi mesi”.