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Totò Cuffaro è più forte della Spazzacorrotti e del “vocabolario”

22 Febbraio 2023

Le carte sono ovviamente a posto. È stato fatto tutto a regola d’arte. Anzi a norma di legge. Solo che il risultato suscita ribrezzo. Sì, perché solo da noi, e forse in qualche minuscola repubblica delle banane, può accadere che le parole impresse in un atto dello Stato a volte significhino il loro esatto contrario. Persino quando si parla di mafia.

Prendete, ad esempio, la frase “interdizione perpetua dai pubblici uffici”. Basta conoscere un minimo l’italiano per pensare che se dopo un processo ti condannano a una pena accessoria del genere tu in vita non farai più il politico (perché ti tolgono l’elettorato attivo e passivo) e nemmeno il netturbino (perché ti vietano di lavorare per la Pubblica amministrazione). Ma nella patria del diritto parlare l’italiano non basta. Se per il dizionario l’aggettivo “perpetuo” è sinonimo di “per sempre” per il codice penale è sinonimo di “dipende”. Non ci credete? Guardate cosa è successo a Salvatore Cuffaro, il celebre Totò Vasa Vasa, ex presidente della Regione Siciliana ed ex vicepresidente dell’Udc.

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Cuffaro nel 2011 si becca sette anni di condanna per rivelazione di segreto e favoreggiamento aggravato dall’agevolazione della mafia. I giudici stabiliscono anche che l’ex numero due del partito di Pier Ferdinando Casini non possa mai più entrare in seggio elettorale e nemmeno farsi eleggere. Lo fanno radiare dall’Ordine dei medici e licenziare dalla Regione, dove peraltro era in aspettativa dal 1991. Cuffaro trascorre poco più di 4 anni in carcere. Poi esce e per qualche tempo fa il volontario in Africa.

Il reato che ha commesso è uno tra i più gravi tra quelli che possono essere contestati a un politico: i favori alla mafia. È evidente che ha tutto il diritto di rifarsi una vita, ma è altrettanto evidente che se si parla di Cosa Nostra, lo Stato ha il dovere di dare un segnale non solo alle cosche, ma pure a tutti quei politici che in qualche modo fanno l’occhiolino ai boss.

Ma la legge è legge. E così, dopo cinque anni, Cuffaro chiede e ottiene la riabilitazione giudiziaria. Si è sempre comportato bene e non vi è motivo per negargliela. Essendo riabilitato la sua interdizione perpetua pubblici uffici cade. Non conta che il suo reato avesse un’aggravante di tipo mafioso: la fedina penale va per legge ripulita. Lui in ogni caso giura che non si ricandiderà. E nell’immediato sembra che non lo possa nemmeno fare.

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La legge Spazzacorrotti, proprio per evitare che la riabilitazione venga usata da politici un tempo dediti al crimine per tornare velocemente sulla scena del delitto, ha messo un ulteriore paletto. Se ti riabilitano dovrai restare fuori dalle istituzioni almeno per un tempo pari alla durata della tua vecchia condanna. Solo al termine di quel periodo la tua posizione verrà riesaminata e tu forse potrai tornare a godere di tutti i diritti civili al 100 per cento. Ma c’è un problema. La Spazzacorrotti è successiva al reato commesso da Cuffaro. Così il tribunale di sorveglianza stabilisce che contro di lui non la si può applicare.

Tutto giusto. Tutto perfetto. Tutti i principi di civiltà e giuridici sono stati rispettati. Tutte le carte sono a posto. Eppure sentiamo che qualcosa non torna: riabilitare chi ha scontato la propria pena e si è comportato bene per permettergli di fare il medico è evidentemente giusto. Permettere di farsi rieleggere no. Saremo forse dei sognatori. Ma qui continuiamo a pensare che se fai politica hai onori e oneri diversi e maggiori rispetto a quelli dei comuni cittadini. Se sbagli così tanto devi restare fuori.

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