Trucchi

Santanchè e quella furbata con i soldi della cassa Covid

Che ministra - Durante il lockdown la sua Visibilia ha richiesto la Cig a zero ore. Il manager al telefono: “I dipendenti? Tutti qui al lavoro”

Di Nicola Borzi e Thomas Mackinson
5 Novembre 2022

Marzo 2020. L’Italia sprofondava nella prima ondata del Covid, la pandemia entro fine aprile avrebbe fatto quasi 30 mila vittime. Lockdown, imprese ferme, disoccupazione, famiglie in difficoltà. Il 17 marzo il governo Conte emanava d’urgenza il decreto legge “Cura Italia” con i sostegni per famiglie, lavoratori e aziende. In quei giorni anche Visibilia Editore, società quotata in Borsa il cui azionista di maggioranza (48,6%) all’epoca era la senatrice di Fratelli d’Italia – e oggi ministro del Turismo – Daniela Santanchè, faceva domanda per gli aiuti della Cassa integrazione Covid. Ma alcuni dipendenti di Visibilia ufficialmente in cassa integrazione a zero ore, percependo gli aiuti Inps, continuavano invece a lavorare a orario pieno. La vicenda emerge da documenti in mano alla Consob, che Il Fatto ha potuto esaminare, e coinvolge tanto la società quanto il ministro Santanchè, che all’epoca ne era presidente e amministratore delegato. Non basta: secondo i documenti i fatti sono proseguiti con forme diverse almeno sino al novembre 2021, nonostante fossero noti a manager ed esponenti di Visibilia, tra i quali Dimitri d’Asburgo Lorena, compagno della Santanchè subentratole ai vertici aziendali a fine 2021.

Il 22 marzo 2020 Visibilia Editore comunicava che nonostante “le misure restrittive annunciate dal presidente del Consiglio e la decisione del governo di chiudere tutte le attività non essenziali fino al 3 aprile” non avrebbe “bloccato la produzione e la vendita dei giornali. L’attività operativa viene garantita in smart working e dove necessario fisicamente garantendo la piena compliance rispetto alle misure di sicurezza”. Il 20 aprile seguente il consiglio di amministrazione di Visibilia Editore, presieduto da Santanchè, “con l’obiettivo di tutelare la solidità finanziaria dell’impresa” deliberava “di mantenere invariato l’organico, ma di ricorrere allo strumento della cassa integrazione in deroga, con diversi regimi per il personale, dal 2 marzo 2020 e per le successive nove settimane, per equilibrare, parzialmente, l’assenza degli incassi storici. La cassa integrazione ordinaria prevede il versamento al lavoratore di un’indennità pari all’80% circa, in funzione dei massimali di legge, dello stipendio che avrebbe percepito se avesse potuto effettuare il suo normale orario di lavoro. L’azienda integrerà al 100% la retribuzione netta mensile di tutti i dipendenti che dovranno accedere alla cassa integrazione prevista dal decreto Cura Italia”. Ma i documenti nelle mani della Consob raccontano un’altra storia: la parte della retribuzione a carico di Visibilia Editore è stata mascherata anche come “rimborso chilometrico”. La società avrebbe inoltre compilato, all’insaputa di alcuni dipendenti, le autocertificazioni Inps, coinvolgendo manager che non potevano restare “a zero ore” per il ruolo apicale e la funzione pubblica rivestiti. A continue richieste di regolarizzazione della situazione, uomini di Visibilia Editore avrebbero chiesto di tacere. Ne emerge traccia in alcune telefonate in mano a Consob.

Tra queste una conference call del 12 novembre 2021 alla quale parteciparono alcuni manager di Visibilia e Dimitri d’Asburgo Lorena, oggi presidente e Ad. Un manager lamentava “non avendo avuto mai comunicazioni in merito alla cassa integrazione, che tipo fosse, quando iniziasse… buste paga ricevute sei mesi dopo… ho detto “ma mi mandi una comunicazione ufficiale della cassa integrazione?”, non m’è mai arrivato niente. Sono andato al Caf e ho detto “senta l’azienda mi chiede questo” lei mi ha fatto domande… ho detto “guardi non so niente, perché comunicazioni non ne ho”. Ho provato a chiedere all’Inps perché poi i soldi me li manda l’Inps. Lei si è presa le buste paga, m’ha detto “scusi ma lei è in cassa integrazione a zero ore? Dico “ma dove lo legge”, “Si capisce perché c’è scritto, lavorato zero, vede la sua busta paga addirittura in negativo”. Dico “Cosa vuol dire?”, “Che lei non deve lavorare”, “Come non devo lavorare!?”, “Ma lei sta lavorando?”, “Sì! Cioè non ho mai smesso di lavorare”. Mi ha detto “guardi che lei in questo modo…” mi ha detto, è complice… che praticamente sto commettendo un illecito. Mi ha detto “lei deve smettere di lavorare, mandi una Pec all’azienda”. Mi ha fatto vedere la legge, articoli di giornale: i dipendenti vengono perseguiti come reato di truffa aggravata allo Stato…”.

Risponde D’Asburgo: “Anche M., sta qua davanti a me… è a zero ore. So’ tutti a zero ore… te ti sei messo in regola e però magari hai messo in difficoltà l’azienda, bastava ne parlassi con noi e non avremmo avuto problemi… adesso, è chiaro, non è che possiamo renderli all’Inps perché sarebbe come ammettere…”. Un altro manager: “Il problema ce l’ho io, se domani mi inizia un controllo, ti fa vedere il computer che hai lavorato da aprile 2020, maggio, giugno, ecc… evitiamo”.

In una telefonata del 17 novembre 2021, un manager di Visibilia riferiva “sul pregresso c’è poco da fare… nel senso… tu o vai lì e ti auto denunci, però non conviene a nessuno dei due, perché l’Inps ti ha pagato… loro non se ne accorgono… A noi c’hanno detto che il passato non si può sanare… perché hai preso i soldi… un conto dici “non li ho presi… lo sa ripagando” ma qui invece è diverso. Ma questa cosa perdonami, è un discorso tra me e te e lo sappiamo io, io e te, l’azienda, e te, che tu hai lavorato da casa. Sì, ma lì sono delle note spese…”. Un manager risponde “Eh ma io non c’ho le pezze d’appoggio delle note spese”. Il primo manager: “Lo so no, no… facciamo figurare… come gli altri, le note spese figurative, cioè tipo rimborsi chilometrici”, al che il secondo “Ma se non mi sono mosso, c’è il Covid”, e il primo “Allora che hai lavorato, lo sappiamo io, noi e te… l’Inps non sa che tu hai lavorato”.

Contattati dal Fatto, né Visibilia Editore né Daniela Santanchè hanno commentato.

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