L’intervista

Shirin Ebadi: “Non solo contro il velo. Il mio Iran protesta per abbattere il regime”

Nobel per la Pace - “L’ingiustizia è contagiosa: in piazza donne uomini, giovani e anziani”

30 Settembre 2022

La storia dell’Iran è la storia della sua vita. Ricorda ancora quando nel 1979, nel giro di pochi mesi, prima diventò obbligatorio il velo, poi “fummo retrocesse a impiegate, poi mi ritrovai segretaria della stessa Corte che fino ad allora avevo presieduto”. Shirin Ebadi è stata la prima donna iraniana magistrato, e la prima a ricevere nel 2003 il Nobel per la Pace, per l’impegno con la sua Ong in difesa dei diritti umani. Dopo essere stata più volte arrestata, nel 2009 ha scelto l’esilio volontario dall’Iran. “Io so cosa vuol dire perdere la libertà”. E, per la libertà, ha perso tutto. Ma continua a battersi per il suo Paese, specie in questi giorni. Quando la foto di Mahsa Amini è apparsa in ogni strada e città.

Cosa rende diversa questa rivolta?

Almeno quattro cose. Le proteste sono molte estese, coinvolgono oltre cento città. In piazza stanno scendendo persone di tutte le classi sociali ed età: sono morti 16enni e anziani. Diversamente dal passato poi, quando la gente si radunava in un solo punto a Teheran o in un’altra città, oggi le manifestazioni si muovono e sono più difficili da reprimere: per ogni città sono almeno 10 i luoghi in cui esplode la protesta. La polizia non ha agenti a sufficienza.

Gli uomini sfilano per strada al fianco delle donne.

Non è la prima volta. È successo solo nei primi anni della Rivoluzione che gli uomini si tirassero indietro, adesso hanno capito che l’ingiustizia è contagiosa. Oggi tocca alle donne, domani a loro. Sanno che se questa protesta vincerà, sarà vittoria per tutti. I primi giorni le manifestazioni erano contro il velo e la “polizia morale” (Gashteh Ershad, la polizia religiosa islamica che vigila sul rispetto della moralità pubblica e che ha ucciso Jina Mahsa Amini, ndr), ma dal terzo e quarto giorno, per le strade, ci sono tutti, donne e uomini, giovani e meno giovani. Hanno capito che il diritto di manifestare esiste. Urlano: “Noi non vogliamo questo regime, noi non vogliamo la Repubblica islamica”. È diventata una protesta politica.

Le immagini che ci arrivano dai social sono impressionanti. Che effetto le fanno?

La gente in passato, quando la polizia caricava, scappava. Ora non più. Chi è in piazza reagisce. Ci sono immagini in cui si vedono i manifestanti correre per recuperare le granate di gas lacrimogeni e ributtarle contro la polizia. Questa autodifesa del popolo ha fatto sì che gli agenti abbiano perso coraggio. In molte città sono loro a scappare. E questo dà ancora più forza alla protesta.

Per le strade risuona il grido “Donna, vita, libertà”. Riflette la consapevolezza di un’intera nazione?

Se questo slogan si avvera, il regime è finito. Urlare in piazza “Noi non vogliamo questo regime” significa: vogliamo donne, vita e libertà. Perché la Repubblica islamica è contro le donne tanto quanto è contro le libertà.

Il velo è imposto a tutte le donne dalla Rivoluzione islamica del 1979. Perché proprio oggi questa nuova ribellione?

Appena l’hijab divenne obbligatorio, noi donne scendemmo in piazza: era l’8 marzo 1979, poco dopo il ritorno di Khomeini. Fu uno choc. Negli anni abbiamo espresso la nostra contrarietà in diversi modi. Ma questa volta la protesta è così diffusa e trasversale, perché per 43 anni il regime non ha risposto alle richieste del popolo. Le persone sono insoddisfatte e vogliono buttarlo giù.

Sono tantissimi i giovanissimi che protestano. La chiamano la “generazione degli anni 80” (perché nati attorno al 1380 del calendario iraniano, che oggi segna l’anno 1401), una generazione che non è più disposta ad accettare imposizioni.

È così. Il 70% degli iraniani ha meno di 30 anni. Oggi i ragazzi sono più lucidi nel leggere il loro Paese, perché hanno Internet, i social… Sanno che con questo regime non hanno futuro: ogni giorno diventano più poveri, la disoccupazione è alle stelle, le disuguaglianze aumentano. Ecco perché scendono in strada.

Quanto influisce uno stato di polizia sulla vita delle persone? Lei lo vive sulla sua pelle da anni.

Una dittatura religiosa può interferire fino a dentro casa tua, nel tuo privato, fino al fatto di avere o non avere figli. Per esempio, in Iran non solo l’aborto è proibito, lo sono i contraccettivi. Il sesso libero è vietato. C’è il divieto di bere alcolici, pena la fustigazione, e non sei libero di indossare ciò che vuoi. In una dittatura religiosa ti tolgono tutte le libertà: politica, personale, sociale. Tutti devono obbligatoriamente scegliere la strada che porta al paradiso, ma la gente, in Iran, preferisce restare dov’è e andare all’inferno.

Lei ha detto che “la libertà e la democrazia hanno il loro prezzo, poi ognuno decide quanto è disposto a pagare”. Cosa è disposto a pagare chi protesta oggi?

Finora più di 70 persone sono state uccise, oltre 1.000 arrestate, tantissimi feriti sono in ospedale. Il popolo iraniano è pronto a pagare il prezzo della democrazia anche con la propria vita. E per questo vincerà.

Con il nuovo presidente Raisi, cosa è diventato l’Iran?

Potrebbe essere eletta anche una persona perbene, non cambierebbe. Il problema sono il sistema istituzionale e la Costituzione che riconosce tutti i poteri alla Guida Suprema.

Con altri giuristi ha chiesto una commissione internazionale d’inchiesta sulla repressione messa in atto dall’Iran. È possibile fare di più?

Chiediamo ai Paesi europei di ritirare i loro ambasciatori dall’Iran e di ridurre le relazioni diplomatiche e consolari.

Lei vive tra Londra e gli Stati Uniti. Anche le democrazie occidentali sembrano non vivere un bel momento. Alcune forze conservatrici rimettono in discussione i diritti delle donne.

Io in realtà vivo per il mondo, in transito negli aeroporti. Purtroppo la democrazia sta arretrando in molti Paesi. Il motivo è uno: le persone sono diventate indifferenti. Io ho sempre paragonato la democrazia a una bella pianta, piena di fiori. La innaffi tutti i giorni, controlli la luce… Ma se per un mese vengono meno le attenzioni, la pianta sfiorisce e si secca. La democrazia non è eterna: può sfiorire. E il dovere di un cittadino è sì votare, ma anche, quotidianamente, controllare i propri rappresentanti, alzare la soglia di attenzione. Specialmente i giovani. Incoraggiateli a interessarsi di politica, a fare politica, a partecipare.

Vive ancora sotto scorta?

No, non ho né scorta né guardie del corpo, mi sentirei meno libera. Le minacce sono continue, ma non mi importa. Quando sono stata di recente in Italia, al Festival di Venezia, per il film sulla mia vita Until we are free, sono stata minacciata di morte. E pure la regista Dawn Engle.

Lei si batte per spiegare che il suo popolo è musulmano, ma non vuole un regime islamico.

Il regime iraniano si serve della religione per reprimere le libertà in nome della religione stessa. Il mio popolo vuole uno Stato laico, vuole la democrazia.

Il presidente Raisi ha annullato l’intervista con Christiane Amanpour della Cnn perché non indossava il velo. Fino a che punto arriva il rispetto delle tradizioni di un interlocutore?

Questo non è rispetto verso le tradizioni, è fanatismo religioso. Le donne iraniane hanno avuto il diritto di voto prima delle cittadine svizzere. Il velo non fa parte della cultura persiana. Sono stati loro a imporcelo.

Traduzione Ella Mohammadi

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