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Spunti di riflessione per Briatore e i suoi seguaci anti-poveri

14 Settembre 2022

“Non ho mai visto un povero creare dei posti di lavoro. Chi crea ricchezza sono le aziende, gli investimenti. Ma qui invece di ringraziarti rompono anche il cazzo: il Paese è questo, c’è una rabbia sociale enorme”. Così parlò Flavio Briatore. Ed è importante che lo abbia fatto. Perché la schiettezza e la volgarità delle sue parole chiariscono bene il pensiero di una parte non piccola dei nostri concittadini.

Per molti italiani essere poveri è una colpa. Il fatto di non guadagnare, o di guadagnare poco, secondo loro dipende dalle scelte dei singoli, dalla scarsa voglia di lavorare o di mettersi in gioco. E anzi chi è povero e disoccupato, o è povero e sottopagato, quando si lamenta rompe. Il metro di paragone è sempre la propria vita: se sei nato in una famiglia modesta e ce l’hai fatta non concepisci la possibilità che altri, con le tue stesse condizioni di partenza, non abbiano ottenuto un successo analogo al tuo. Se i tuoi genitori erano invece ricchi e benestanti la vera povertà non riesci nemmeno a immaginarla.

A uso di Briatore e dei suoi fan ecco quindi qualche spunto di riflessione. Il primo è sugli imprenditori. È certamente vero che sono le aziende a creare posti di lavoro. Ma non è vero che i poveri non ne creino. Pensate ad esempio ai rider, alle tante persone in genere straniere che in cambio di compensi spesso bassissimi consegnano il cibo a casa di italiani più abbienti di loro. Chi ha ideato il sistema di consegne a domicilio ha certamente creato lavoro. Ma anche ogni singolo rider ne crea: grazie alle sue pedalate poco retribuite incrementa i fatturati di bar e ristoranti i quali, per tenere fronte agli ordini crescenti, assumeranno altre persone. Se i rider protestano non rompono il pistolino dell’aspirante Briatore di turno, ma chiedono semplicemente che la ricchezza creata dall’impresa venga meglio distribuita. E questo vale pure per gli operai della logistica o per chi raccoglie in nero pomodori. Tutte attività che ben raramente vengono pagate più di 9 euro lorde all’ora. Per questo se i tanti seguaci del Briatore-pensiero riflettessero, capirebbero bene che lavoratori meglio pagati contribuiscono a creare più ricchezza per tutti, perché con i loro salari saranno in grado di acquistare cibi e merci più cari e migliori, che faranno più ricchi altri imprenditori e lavoratori.

I numeri, del resto, non mentono. In Italia chi è figlio di poveri in genere resta povero. Tanto che secondo l’Ocse, nel nostro Paese ai bambini nati in famiglie a reddito basso sono necessarie cinque generazioni prima che i loro eredi possano toccare il reddito medio. In Danimarca, Norvegia e Finlandia, grazie a uno stato sociale efficiente, di generazioni ne bastano invece due o tre. Cosa accade ai poveri lo spiega Muhammad Yunus, l’economista indiano che nel 1977 ha fondato la Grameen Bank, una banca che concede agli ultimi microcrediti senza garanzie. Dice Yunus: “Si pensa che i poveri restino tali perché sono pigri o stupidi. In realtà è proprio l’opposto. Di solito i poveri lavorano tutto il giorno per sopravvivere. La maggior parte di loro ha capacità, ma non ha opportunità per dimostrarlo”. Perché non hanno potuto studiare, perché nessuno li finanzia, perché tutti li sottopagano.

Per questo Briatore dovrebbe capire che anche a lui converrebbe una società di lavoratori ben pagati. Perché più grande sarà il numero dei benestanti e più grandi saranno le sue possibilità di trovare gonzi disposti a seguire non le sue strampalate teorie, ma a scialacquar denaro per acquistare le sue pizze al prezzo surreale di 25 euro.

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